La catena manageriale nelle piccole imprese è molto corta (e semplice): l’imprenditore-proprietario, un paio di responsabili di funzione (di solito dell’area amministrativa e commerciale) spesso legati da vincoli di sangue (figli o nipoti) e poi tutti impiegati-professional o operai.

In questo contesto, non abituato a lavorare con dirigenti esterni, non c’è discussione sul management che non finisca per ricadere sul tema delle competenze richieste ai direttori (cosi definiti nel linguaggio di settore). Se si indaga a fondo la questione, tuttavia, emerge quasi sempre – a volte esplicitamente, più spesso tacitamente – che a dominare è una determinata idea: si tratta dell’immagine del manager ideale. Proprio perché, spesso, convinti della inutilità di manager esterni, cercano il “direttore ideale”!

Non appena viene pronunciato il termine “manager”, la maggior parte dei piccoli imprenditori si pone spontaneamente l’interrogativo: “Chi è il manager ideale?”, “Quali competenze deve possedere il manager ideale?”. Si tratta di un falso problema. Perché se si guarda ai cataloghi delle competenze richieste ai “manager ideali”, quello che i piccoli imprenditori cercano è un genio universale, un incrocio tra un guerriero dell’antichità, un premio Nobel e un intrattenitore televisivo.

Vorrei ora proporre un’altra domanda. Anziché: “Che cos’è una dirigenza ideale?”, bisognerebbe chiedersi: “Che cos’è una dirigenza efficiente?”. Quest’ultimo interrogativo si distingue nettamente dal primo, perché il suo punto di partenza non è il genio, ma l’uomo comune, ossia la tipologia più diffusa, sebbene occasionalmente ci possano essere individui cui risulti difficile ammetterlo. Sullo sfondo di questa domanda, il problema principale della piccola imprenditoria non è più: “Com’è possibile spingere dei geni a delle prestazioni geniali?”. Il problema fondamentale diventa piuttosto: “Com’è possibile ottenere da persone comuni – dato che alla fine ci restano solo quelle – delle prestazioni straordinarie?”. Perché nessuno – nemmeno i migliori top manager delle grandi aziende – fornisce costantemente una performance d’eccellenza.

Pretenderle in continuazione non solo costituirebbe un controsenso, ma a mio avviso sarebbe pura teoria nel senso peggiorativo del termine, nonché una pratica disumana. Oggi, tuttavia, la performance normale non basta più: bisogna aggiungere qualcosa. È proprio questo infatti il nucleo paradossale del management odierno ovvero, con una formulazione meno altisonante, il motivo per cui c’è assoluto bisogno del management nella piccola impresa: abbiamo a disposizione – almeno in quantità sufficientemente grandi – solamente delle persone comuni, ma vengono richieste – per via della complessità e competitività dei mercati – delle prestazioni straordinarie.

La chiave per comprendere le prestazioni degli individui efficienti – i performer – risiede nel modo in cui agiscono. Non è decisivo chi sia questa gente, ma come agisce. In quanto persone, caratteri e personalità sono molto differenti, come solo gli esseri umani sanno essere. Non corrispondono ad alcun profilo richiesto né, in nessun modo, all’idealtipo accademico. Attraverso il loro agire, tuttavia, si delinea un filo rosso, un modello. Tra l’altro, la curiosa fissazione di chiedersi come dovrebbe essere una persona ricorre solamente nel management. Ai chirurghi si chiede se sanno operare, il resto interessa poco. I professori d’orchestra vengono selezionati e valutati per la padronanza con cui suonano il loro strumento. I saltatori in alto e in lungo devono saper saltare in alto e in lungo: un allenatore non si porrà mai la domanda: “Come sono i saltatori in alto?”.

Questa domanda è assolutamente ingiustificata anche nei confronti dei manager. Alcune caratteristiche possono ovviamente essere decisive affinché una persona non venga considerata per una determinata posizione, ma questo dipende dalla peculiarità sia dell’individualità sia della posizione, non certo da generalizzazioni idealistiche. L’unica affinità che possa accomunare le persone efficienti è costituita da alcuni elementi caratteristici del loro modo di lavorare: in primo luogo, esistono determinate regole, dalle quali – qualsiasi cosa facciano e ovunque la facciano – si lasciano più o meno consapevolmente guidare e con le quali disciplinano il loro comportamento. In secondo luogo, si può notare che le persone efficienti assolvono determinati compiti con particolare cura e perizia; infine, in terzo luogo, nel loro modo di lavorare si scopre quasi sempre un marcato elemento metodico-sistematico: l’elemento della professionalità artigianale collegata all’impiego competente, talvolta persino virtuoso, di determinati strumenti. In sostanza, si tratta degli stessi elementi che si possono individuare anche in ogni altra professione.

Cercate queste tre cose nei colloqui di selezione: regole di lavoro, modalità con cui svolgono determinati compiti (che a voi interessano) e gli strumenti che usano. Il resto è fuffa.

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