Riuscirà a “conservare” e allo stesso tempo modernizzare la corona? Sarà un re più politico della madre? Con più personalità? Come arginerà le inondazioni mediatiche sugli scandali della famiglia reale? Quali narrative adotterà nei confronti delle ex colonie? E con l’Europa dopo la Brexit? Ha ancora senso avere una monarchia ereditaria? L’opinione pubblica segue con interesse e devozione questo passaggio?

Questi sono alcuni dei tanti interrogativi che circondano il passaggio storico della corona della Gran Bretagna dalla più longeva regnante della storia del regno, Elisabetta II, un’icona storica e pop allo stesso tempo, la regina che casca sempre in piedi, simbolo dell’unità della nazione e della famiglia reale, al primogenito Carlo.

Un fenomeno mondiale durato dal 1953 fino allo scorso settembre. Quasi settant’anni di vita pubblica in cui il mondo è cambiato in maniera vertiginosa. E mentre le essenze dei periodi storici nascevano, morivano, entravano in lotta per poi evolversi, morire e nascere di nuovo, lei era sempre lì. Una presenza in sordina, comunque rumorosa.

Tutto questo Carlo lo vede, lo capisce e lo sa meglio di tutti noi. Dopotutto, lui è quello che la monarchia l’ha subita, come gli altri membri della famiglia, e dopo tanta attesa, ora ha il compito di rappresentarla. E la domanda sorge spontanea: come?

Sarà sicuramente un regnante in piena discontinuità con la madre. Prima di tutto, perché è figlio di un’altra generazione, e come diceva lo storico francese Marc Bloch, “Gli uomini sono figli dei loro tempi più che dei loro padri” – e in questo caso specifico, della propria madre.

Sarà un re con più personalità politica, anche se il ruolo gli impone comunque un grado elevato di discrezione.

Sarà un re che, come ha già ha cominciato a fare, parlerà all’Europa tramite la Germania, dovuto sia ai suoi legami personali con il paese che al suo interesse a dialogare con l’Unione europea su temi di cui nutre personale interesse, come la transizione ecologica e il sostegno all’Ucraina.

In questo senso, emblematica anche la presenza durante la cerimonia dei rappresentanti delle tre maggiori istituzioni europee Charles Michel, Ursula Von der Leyen e Roberta Metsola.

Mentre dunque Carlo sarà un re più moderno, la monarchia rimane un’istituzione che difficilmente rappresenterà il presente e l’avvenire. Certamente, conserva una tradizione storica, ma politicamente, mentre il mondo ha già abbandonato da tempo il concetto di monarchia ereditaria ispirata da Dio, rimane un’istituzione totalmente anacronistica. La cerimonia dell’incoronazione, una ritualità che si conserva da secoli, rimarca questo attaccamento della monarchia alla tradizione che non perderà mai.

Una cerimonia di gusto medievale, tutto orchestrato con meticolosa accuratezza e sacralità nell’abbazia di Westminster, il luogo di riunione del primo parlamento del mondo.
Saranno il principe Carlo e la regina Camilla all’altezza di conciliare tradizione, politica, modernità e lo stesso senso di esistenza della monarchia britannica?

È la sfida che Carlo ha per nascita, come avrà William dopo di lui: far sopravvivere un’istituzione che non si sceglie di rappresentare. Forse, ciò che veramente rappresenteranno, sarà il lento declino di un’istituzione, i cui sfarzi non hanno più ragione di esistere nel mondo di oggi, e sicuramente nel mondo di domani.

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