Una vita nella aule di giustizia da vero principe e per chi lo conosce anche un uomo arguto e spiritosi come pochi. Eppure nel cuore di questo penalista di valore assoluto, un vincitore perlopiù e ingaggiato per battersi in Cassazione nei casi più spinosi c’è sempre un pensiero per Sabrina Misseri, la giovane condannata all’ergastolo per l’omicidio della cuginetta Sarah Scazzi e ancora un anno fa si è vista negare un permesso dalla Suprema corte. “Prima ci scrivevamo una lettera a settimana, adesso all’improvviso tace. So che è in crisi e questo mi amareggia e mi preoccupa. Sono convintissimo dell’innocenza sua e di sua madre. Abbiamo fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo e abbiamo superato il primo controllo di ammissibilità. Ma i tempi sono lunghi. Lascerò il caso in eredità al mio studio…” dice l’avvocato in una lunga e articolata intervista al Corriere della Sera in cui si racconta a 90°.

A 84 anni Coppi non vuole certo ritirarsi, ma comunque sento l’importanza dell’età: “Io mi emoziono ancora come il primo giorno all’idea che uno bussi al mio studio per chiedermi aiuto. Ma le ho già detto quanti anni ho… Faccia un po’ lei”. Il pensiero della morte c’è anche se Coppi, che tra gli assistiti ha Silvio Berlusconi, “Beh, l’età non aiuta a tenere lontano il pensiero. Vero è che Andreotti sosteneva che i processi allungano la vita… Diceva che i magistrati contavano sul fatto che lui morisse prima della sentenza, così avrebbero pronunciato estinto il reato per morte del reo. E allora lui se n’era fatto una questione di puntiglio: non muoio finché non finisce il processo, e così è stato”. Tra i racconti c’è anche il ricordo del collega Niccolò Ghedini, morto l’estate scorsa. “Povero Ghedini, era una persona perbene ed era diventato un amico; lui voleva molto bene a Berlusconi. Il suo cane mi riempie le giornate. Gli parlo, so che mi capisce. A Villa Borghese siamo diventati molto popolari”.

Coppi ama raccontare che sperava di fare l’artista, il pittore e che l’avvocatura è stata una specie di secondo amore. “Io ho fatto l’avvocato per sbaglio. Ho scelto il penale perché mi sembrava meno avvocatura, non c’era da impicciarsi di società, cambiali e cose del genere. Ho cominciato 60 anni fa e all’epoca il cuore del processo era la Corte d’Assise, cioè l’uomo, con le sue passioni e i suoi sentimenti” E infatti alla domanda “rifarebbe l’avvocato?” risponde come ha sempre risposto: “Forse farei il pittore, che è la mia vecchia passione. Anche se devo dire che se veramente avessi avuto dentro il fuoco dell’arte me ne sarei fregato dell’avvocatura. Mentre studiavo Giurisprudenza andavo all’accademia e vivevo in mezzo ad aspiranti pittori come me, e le assicuro che una cena fra pittori mancati è esaltante…. Ci divertivamo. In una serata tu potevi distruggere nientemeno che Michelangelo: “appena passabile come scultore eh… ma come pittore non me ne parlare”. Salvavi Raffaello, magari. Ma Picasso: “chi è Picasso? Chi lo conosce?” Forse non era la mia strada… Non so più chi ha detto che passiamo tutta la vita a diventare quello che siamo, io sono un avvocato. E va bene così».

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