Ormai è ufficiale: il progetto Cinecittà, di competenza del ministero della Cultura, difficilmente potrà rispettare le scadenze previste. E in assenza di modifiche concordate con la Commissione Ue, il rischio di perdere i 262 milioni di euro stanziati dal Pnrr si fa concreto. La conferma è arrivata in settimana da Raffaele Fitto. Durante l’informativa al Parlamento sul Piano, il ministro per gli Affari europei è stato chiaro: se l’intervento “non dovesse essere oggetto di una revisione, in termini complessivi di progetto e soprattutto di risoluzione di alcuni contenziosi che sono al suo interno, difficilmente potrebbe raggiungere il risultato”. Ovvero la costruzione di 13 teatri e la ristrutturazione di altri 4 entro il 30 giugno del 2026. Motivo per cui il governo ha già chiesto a Bruxelles una modifica sostanziale: che la parte del progetto relativa all’ampliamento degli studi a Torre Spaccata venga considerata conclusa con l’acquisizione dei terreni entro il 2026 e non più con il completamento dei lavori.

Il traguardo intermedio, quello del prossimo 30 giugno, invece dovrebbe essere salvo: da Cinecittà assicurano che la stipula dei contratti con le imprese per la costruzione di 5 nuovi teatri e la ristrutturazione di altri quattro nei terreni storici di via Tuscolana avverrà nei termini previsti. Anche se, va detto che Fitto, nella sua audizione, ha citato proprio questo intervento, insieme agli asili nido e alle stazioni di rifornimento a idrogeno, tra i punti critici sullo sblocco della quarta rata da 16 miliardi. Di sicuro, al momento, c’è che qualcosa nell’attuazione della misura è andato storto. La colpa, però, non sembra essere dell’attuale ministro, Gennaro Sangiuliano, quanto piuttosto del suo predecessore, il dem Dario Franceschini.

Che il progetto fosse in evidente affanno lo si sapeva infatti da tempo. Almeno dalla fine dell’anno scorso, quando una delibera della Corte dei Conti del 30 dicembre metteva in fila tutti i pasticci e gli intoppi che la gestione dell’ex ministro Franceschini aveva determinato. Le censure dei magistrati contabili riguardavano l’intera misura da 300 milioni di euro “Sviluppo industria cinematografica” (M1C3, Investimento 3.2), che si compone di tre linee di intervento, divise tra il potenziamento degli studi cinematografici di Cinecittà, a cui il 30 marzo scorso sono stati assegnati 262 milioni e 800mila euro e il potenziamento delle attività di produzione e formazione del Centro Sperimentale di Cinematografia (i restanti 37,2 milioni di euro). La prima critica della Corte riguarda la struttura che avrebbe dovuto gestire l’intervento. Il ministero ha indicato come “soggetto attuatore”, e quindi incaricato del controllo e della rendicontazione dell’intervento, Cinecittà Spa, l’ex Istituto Luce srl, in contrasto con un decreto del Segretario generale dello stesso ministero che, invece, designava per tale ruolo la Direzione generale cinema.

Secondo i magistrati contabili, né la Direzione cinema né l’Unità di Missione, all’epoca della delibera (30 dicembre), avevano adottato alcun provvedimento relativo a compiti di coordinamento e di monitoraggio della gestione del progetto che pure gli competevano, come non avevano trasmesso i dati finanziari e di realizzazione degli investimenti al Servizio centrale per il Pnrr. Ma le censure della Corte non si fermano qui. E travolgono l’intero operato di Franceschini, responsabile della stesura del progetto e della sua implementazione fino a ottobre dell’anno scorso. Il ministero della Cultura, infatti, scrivono i magistrati contabili, non ha redatto una “pianificazione e programmazione ex ante, corredata da quadri economici-finanziari di dettaglio, degli interventi destinati a costituire il contenuto dei ciascuna delle linee di azione in cui si articola il Progetto, solo genericamente delineato nella presentazione alla Commissione europea”. Tutte attività necessarie per distinguere gli interventi da inserire nel Pnrr dagli altri investimenti “posti in essere in attuazione della policy societaria” per il risanamento e il rilancio di Cinecittà. “La mancata individuazione ex ante” di tali interventi, scrivono i magistrati contabili, ha “reso impossibile, ad oggi, lo svolgimento, da parte del Ministero, dei compiti di monitoraggio, rendicontazione e controllo (…), nonché la tracciabilità economico-finanziaria delle spese direttamente correlate agli interventi Pnrr, la loro verifica di ammissibilità (…) e la relativa separazione rispetto alle spese correnti”.

E in effetti il meccanismo adottato da Cinecittà nella gestione dei soldi Pnrr non appare del tutto trasparente. Anche perché è la stessa società, in una relazione consegnata alla Guardia di Finanza, a descrivere il modo in cui coprire, con risorse del Piano, attività già avviate e, in alcuni casi, già concluse. Secondo la Corte, “tale operazione non appare rispondente ai principi di separazione contabile ed agli obblighi di assicurare la completa tracciabilità delle operazioni e la tenuta di una apposita codificazione contabile per l’utilizzo delle risorse del Pnrr”, come previsto dalle indicazioni fornite dal Ministero dell’economia. In questo contesto, il margine di intervento del Ministero risulta piuttosto ridotto, essendo limitato, in sostanza, alla “mera verifica ex post, di ammissibilità in base al criterio cronologico (sono considerate relative al Pnrr quelle misure avviate dopo il primo febbraio 2020, ndr)” e “di corretta adozione e applicazione delle procedure nell’affidamento dei lavori, servizi e forniture”.

Tuttavia, la carenza di controlli, che intervengono solo in un secondo tempo, in pratica in fase di rendicontazione, “potrebbe comportare non solo un’inammissibilità delle spese a valere sulle risorse del Pnrr ma anche un accertamento di irregolarità ovvero di non riconducibilità delle attività già svolte al Progetto Pnrr, con conseguente inutilizzabilità delle stesse e pregiudizio delle successive fasi di realizzazione che da quelle dipendono”. Un effetto domino, insomma, che potrebbe mettere “in serio pericolo” il raggiungimento “del milestone europeo della sottoscrizione dei contratti con le imprese esecutrici dei lavori di costruzione dei nuovi teatri al T2 2023”, ovvero al 30 giugno prossimo. Ma c’è dell’altro.

Già, perché il Ministero ha affidato alla stessa Cinecittà la “rimodulazione” del Pnrr da comunicare alla Commissione. Finora, le variazioni al piano originario, comunicato a Bruxelles nel 2021, sono state due e per entrambe i costi sono stati gonfiati. Un “notevole incremento”, per usare le parole della Corte, “genericamente imputato all’aumento dei costi dei materiali ed all’intervenuta necessità di acquistare un immobile di cui” era stato previsto il conferimento a titolo gratuito da parte di Cassa Depositi e Prestiti. “Si rileva” prosegue la delibera, “il difficoltoso riscontro dell’incidenza di tali circostanze in perdurante assenza di quadri economici /finanziari di dettaglio per ogni singolo intervento da ascrivere al Progetto Pnrr”. Ma anche l’altra gamba della misura “Sviluppo industria cinematografica”, che prevede un finanziamento da 32,7 milioni di euro a favore della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia, presenta le stesse criticità, dal momento che mancano “progetti specifici e relativi quadri economico-finanziari”. Infine, la questione dei terreni su cui dovranno sorgere 8 nuovi teatri. Siccome Cassa Depositi e Prestiti Immobiliare Srl si è tirata indietro dall’ingresso nel capitale di Cinecittà Spa, il pratone di Torre Spaccata, nella periferia di Roma, non verrà più conferito a titolo gratuito. Per questo la società ha raggiunto un accordo con Cdp per acquistarlo: 17,8 milioni di euro per 31 ettari. Al perfezionamento dell’intesa, però, manca ancora il parere del Mef e l’autorizzazione del Comune di Roma, oltre all’approvazione del cda di Cinecittà e Cdp.

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