La mano di Dia, il flop con la Salernitana, l’urlo strozzato in gola. Ma quale delusione, la festa è solo rimandata: a Napoli hanno aspettato 33 anni, potranno farlo tre giorni in più. Lo scudetto arriverà comunque e se lo godranno tutto. Semmai, il rimpianto è per le avversarie che non sono nemmeno state in grado di metterlo alla prova fino alla fine, invece di consegnargli il titolo con sei o sette giornate d’anticipo. Doveva essere la partita decisiva, il giorno della storia, e non lo è stato. Pazienza, l’1-1 in casa contro la Salernitana non cambia nulla: sarà scudetto e sarà comunque meritatissimo. Però il Napoli di Spalletti – un po’ per sfortuna, un po’ per stanchezza o frenesia – non è riuscito a vincere la gara che tutti aspettavano che vincesse. Forse non per caso.

Non è la prima volta che succede. Certo, ci sono state anche prove straordinarie, il 5-1 rifilato alla Juventus che ha fatto da spartiacque alla stagione (soprattutto dei bianconeri), la vittoria all’andata a San Siro contro il Milan, il 4-1 rifilato a Liverpool. Però nelle due occasioni in cui hanno giocato davvero sotto pressione, ieri e nei quarti di Champions contro il Milan, gli azzurri si sono po’ sciolti, tatticamente (sui contropiedi di Leao) ed emotivamente. Pressioni differenti: quella di coppa era tutta sportiva, un’occasione per certi versi irripetibile perché di scudetti magari ce ne saranno altri ma un percorso così verso la finale di Champions non ricapiterà più; con la Salernitana il risultato in sé non contava, ma il San Paolo e una città intera ribollivano d’attesa, c’era una passione sfrenata da soddisfare. Facce diverse della stessa medaglia: la palla pesava davvero, e il Napoli che ha dominato in Italia e in Europa, per un motivo o per l’altro stavolta non è riuscito a spingerla in porta.

Questo non toglie nulla al Napoli ma aumenta i rimpianti delle avversarie, se di rimpianti si può parlare quando si finisce a meno venti. Il grande demerito di Milan, Inter, Juventus non è stato cedere il titolo a una squadra che sul campo si è dimostrata in tutto e per tutto superiore, ma non provare nemmeno a contenderglielo. Non esplorare le possibili fragilità di un gruppo fatto da un paio di individualità stratosferiche e tanti buoni giocatori che comunque non avevano mai vinto nulla, guidato da un tecnico noto per le sue difficoltà a gestire la tensione. Nessuno sminuisce il trionfo del Napoli, anche perché con questi numeri, una tale superiorità, oggettivamente non sarebbe possibile. Però la stagione è stata contraddistinta da una cavalcata in solitaria e c’è un fattore che sicuramente l’ha agevolata: la squadra di Spalletti ha giocato sempre con la testa sgombra, senza un avversario che le mettesse il fiato sul collo. E questo nel calcio è fondamentale. Ha potuto farlo perché li ha stracciati tutti – è vero –, ma anche perché le milanesi si sono praticamente eliminate da sole, perdendo tanti punti semplici in momenti decisivi. Per usare una metafora ciclistica, è come se gli azzurri avessero fatto una cronometro: si sono messi là davanti e hanno imposto un ritmo forsennato, insostenibile per tutti. Ma non sono mai stati infastiditi da scatti e controscatti.

Quasi sicuramente non sarebbe cambiato nulla. Anche dopo il passo falso con la Salernitana, il Napoli potrà chiudere il campionato a 97 punti, una quota vertiginosa, e se pure dovesse lasciarne qualcuno per strada saranno comunque di più degli 86 con cui ha vinto il Milan l’anno scorso. Resta solo la curiosità di come avrebbe reagito in un testa a testa: se avrebbe fatto tutti gli stessi punti anche giocando sotto pressione, magari ritrovandosi nel mese più difficile, senza energie e senza Osimhen, con un’antagonista credibile a meno 7 e non a meno 20 in classifica. Se avrebbe vinto sempre o comunque, o tremato, come ha tremato un pochino ieri. Ma in fondo è una domanda inutile: con queste avversarie non lo sapremo mai.

Twitter: @lVendemiale

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