La latitanza di Pasquale Bonavota è finita a Genova, come quella di suo fratello Domenico che, nel 2008, era stato catturato in una spiaggia a Voltri mentre con un altro ricercato, Antonio Patania, stavano salendo a bordo di un’automobile dopo aver trascorso alcune ore in spiaggia. A distanza di 15 anni anche la fuga di Pasquale Bonavota si è conclusa in Liguria. Il boss di Sant’Onofrio e Stefanaconi, latitante dal 2018, è stato fermato dopo essere entrato nella chiesa di San Lorenzo, la cattedrale di Genova. I carabinieri del reparto operativo, guidati dal colonnello Michele Lastella, erano sulle sue tracce dal 2021. Individuato giovedì mattina, lo hanno seguito per un tratto di strada e poi, una volta dentro la chiesa, lo hanno arrestato. Aveva con sé un documento falso sul quale adesso sono stati avviati accertamenti per ricostruire la rete di fiancheggiatori di cui si è servito.

Nell’elenco dei ricercati di massima pericolosità redatto dal ministero dell’Interno – dove Bonavota compariva con Attilio Cubeddu, Giovanni Motisi e Renato Cinquegranella – c’è scritto che era latitante per associazione mafiosa e per omicidio aggravato in concorso. Per quanto riguarda la prima accusa, però, è stato assolto, sia da minorenne che da maggiorenne, mentre dopo una condanna all’ergastolo, rimediata il 28 novembre 2018 per gli omicidi di Raffaele Cracolici e di Domenico Di Leo consumati nel 2004, la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro lo ha assolto nel novembre 2021 quando da due anni era già ricercato perché destinatario dell’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’inchiesta Rinascita-Scott.

Di quell’indagine, infatti, mancava all’appello solo Pasquale Bonavota, l’unico soggetto rimasto in stato di latitanza tra i 334 soggetti arrestati nel dicembre 2019 perché ritenuti appartenenti alle famiglie mafiose vibonesi. Le indagini sulla sua cattura sono state coordinate dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, a capo della Dda che ha istruito il maxiprocesso in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme. Considerato esponente di primo piano della cosca Bonavota, il latitante è cresciuto a pane e ‘ndrangheta. Basta pensare che Bonavota oggi ha 49 anni ma la prima denuncia per furto continuato in concorso risale al 1987 quando, a 13 anni, non era perseguibile.

Nel 1990 a 16 anni, inoltre, è stato accusato per la prima volta di far parte di un’associazione a delinquere di stampo mafioso. Figlio di Vincenzo Bonavota, ex reggente e fondatore del clan, nel processo Rinascita-Scott Pasquale Bonavota è considerato il “capo società” della cosca mentre il fratello, Nicola, aveva il compito di mantenere i rapporti con le ‘ndrine distaccate presenti in Piemonte e Liguria. Ed è proprio in quest’ultima regione che si stanno concentrando gli investigatori per capire chi ha favorito il boss e per ricostruire gli anni della sua latitanza. Sembrerebbe che i carabinieri abbiano già individuato il covo di Pasquale Bonavota e lo stiano perquisendo.

Dalle indagini delle Dda di Catanzaro e Genova è emerso come la cosca di Sant’Onofrio da tempo ha i suoi referenti in altre regioni d’Italia tra cui il Lazio, il Piemonte e la Liguria, luoghi dove – c’è scritto nelle carte dell’inchiesta Rinascita – ormai da decenni si sono stabilizzati soggetti originari del piccolo comune vibonese di Sant’Onofrio, legati tra l‘altro da vincoli di parentela con i predetti vertici del gruppo criminale oggetto di investigazione”.

Nel nord Italia, infatti, gli investigatori hanno registrato “numerosi incontri tra i sodali di fiducia della consorteria Bonavota con esponenti del sodalizio in Liguria quale Davide Garcea, figlio del più noto esponente di ‘ndrangheta Onofrio Garcea, ed in Piemonte, quali Antonio Serratore e Francesco Mandaradoni. Il fine delle predette trasferte al Nord Italia era quello di stabilire degli accordi per alcune operazioni di riciclaggio nonché il mantenimento dei rapporti con la casa madre da parte delle ‘ndrine satelliti”.

Del latitante hanno parlato diversi pentiti come Andrea Mantella secondo cui “con riferimento al clan Bonavota, preciso che il capo società è Pasquale Bonavota”. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, invece, oltre a definirlo il capo, lo indica come “il cervello della famiglia”. Che era così lo dimostrano le stesse parole del latitante, intercettate nel 2005 dalla Dda di Catanzaro. Frasi che si riferiscono a una situazione di tensione che caratterizzava i rapporti tra gli affiliati in quel periodo: “Mio padre, ha detto una parola che allora io non capivo perché ero un ragazzo, ed oggi debbo dire la verità, se uno vuole fare il malandrino, oltre che devi essere, devi avere pure la mentalità, perché il malandrino, non siamo più… che si fa con il fucile, mangivamo, bevevamo, dopo che ci ubriacavamo… uscivamo in piazza e parlavamo, ormai si fa con il cervello, con diplomazia… no? Ed ora mio padre… diteglielo… a Sant’Onofrio sai cosa c’è? Una cosa… una reazione immediata, uno ti butta uno schiaffo ed io… però non c’è mentalità malandrina, mentalità mafiosa, assolutamente non c’è…”.

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