E insomma, come ogni fine aprile da quasi trent’anni, il popolo italiano è costretto a sorbirsi il teatrino degli stolti sulla questione dell’antifascismo. Per la precisione sono 29 gli anni, da quel lontano 1994 in cui salì per la prima volta al potere Silvio Berlusconi, in alleanza con gli eredi del Movimento sociale italiano capitanati da Gianfranco Fini.

Quasi sei lustri passati per niente. Oggi come allora ci si attorciglia su questioni di lana caprina. Chi va o non va alle celebrazioni del 25 aprile, chi vince il premio dei sinonimi per non chiamarla “liberazione”, chi dà prova di straordinarie doti dialettiche per non definirsi antifascista senza per questo sembrare un fascista. Questo a destra. A sinistra il teatrino è identico ma specularmente opposto: la premier Meloni o chi per lei deve usare con precisione – e possibilmente scandire bene – il termine “antifascismo”, concentrarsi nell’elencazione dei mali operati dal regime mussoliniano e ovviamente non azzardarsi a sminuirli con l’argomentazione “ma anche il comunismo”.

Come se tutto questo non bastasse, si aggiunga anche la piaga di una classe politica che – insieme al popolo che si trova a rappresentare – è degradata culturalmente in maniera imbarazzante: da qui il fenomeno di ministri che se ne escono con la teoria della “sostituzione etnica” o presidenti del Senato che si tuffano impavidi nell’acqua melmosa dello sfondone storico e giuridico.

Il fatto grave, oggi più di trent’anni fa, è che mentre i rappresentanti politici offrono questo spettacolo del tutto inutile prima ancora che indecoroso, i diritti dei lavoratori sono stati frantumati, insieme ai più elementari diritti sociali conquistati lungo decenni di lotte e contrattazioni. Se il fascismo storico è stato anzitutto un regime che ha distrutto le libertà individuali e democratiche, reprimendo con la forza le lotte operaie e fondandosi sull’appoggio della grande industria, mi chiedo perché la nostra classe politica fatichi a vedere (e quindi combattere) il fascismo odierno.

Sì, quello di lavoratori (spesso giovani) costretti a orari massacranti in cambio di una paga da fame, pratica da cui abbiamo visto non essere esenti neppure le istituzioni dello Stato, che spesso fanno uscire bandi pubblici per la ricerca di figure altamente specializzate (e responsabilizzate) da pagarsi con emolumenti ridicoli. Quello dei pochi privilegiati che sono sempre più ricchi e benestanti, a fronte di una classe media che si impoverisce e subisce un’inflazione raramente così alta.

E ancora, mi chiedo come sia possibile concentrarsi sulla presunta “matrice fascista” di coloro che oggi ci governano, quando in realtà a emergere in questi ragazzotti da bar è l’incapacità di fare fronte alla crisi economica ormai perenne, mista alla chiara volontà di prendere misure che colpiscono le famiglie, i meno abbienti, i giovani.

Ci si concentra forse su questo perché anche dall’altra parte, a sinistra e dintorni, mancano proposte concrete e fattibili per combattere la macelleria sociale in atto ormai da decenni, che la sinistra stessa tenta spesso di mascherare concentrandosi sulle battaglie per i diritti civili. Tutto ciò – per parlare di cose poco serie ma gravi – mentre una figura di spiccata incompetenza e incoerenza ideale come Luigi Di Maio ottiene un incarico profumatamente pagato dall’Unione europea, che alla faccia del merito e delle conoscenze decide di premiare un signore che già a suo tempo tradì tutti i suoi ideali (nonché i suoi elettori) per poter assurgere immeritatamente al rango di uomo di stato al servizio della finanza.

Oppure – per parlare di cose serie e anche gravi – mentre le multinazionali del digitale e dell’intelligenza artificiale stanno lavorando alla sostituzione dell’umano con le macchine (altro che sostituzione etnica degli italiani con gli immigrati). Un vero e proprio fascismo del XXI secolo, con tanto di eugenetica e costruzione di una presunta umanità “aumentata” composta da cyborg.

Non c’è niente da fare, sono giorni strani questi fra il 25 aprile e il 1° maggio. La prima ci dicono dovrebbe diventare la festa di tutti, e io sono d’accordo. Ma il guaio è che, se continuiamo su questa strada, la seconda diventerà a breve la festa di nessuno.

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