Il gruppo automobilistico Tesla è stato condannato negli Stati Uniti a risarcire l’ex dipendente di colore Owen Diaz con 3,2 milioni di dollari per non averlo protetto dagli abusi razziali. Benché di condanna, la sentenza è stata accolta con sollievo dall’azienda poiché in una prima pronuncia il risarcimento era stato stabilito in 137 milioni, uno degli importi più alti nella casistica statunitense. Si tratta di una riduzione del 98% dopo che già in passato i giudici avevano ritenuto troppo alta la somma, indicando un limite a 15 milioni di dollari, decisione contro cui Diaz aveva fatto ricorso. I fatti risalgono a 7 anni fa e si sono svolti nello stabilimento di Fremont, in California, dove il lavoratore è stato insultato con epiteti razzisti e dove sono comparse scritte sui muri contro di lui. “Non credo che la verità e la giustizia abbiano trionfato”, ha detto Lawrence Organ, uno degli avvocati di Diaz, dopo il verdetto. La strategia di Tesla è stata quella di “minimizzare e screditare” ed “è triste che queste buffonate abbiano funzionato”, ha detto il legale. “Se ci fosse stato concesso di introdurre nuove prove, il verdetto sarebbe stato zero”, ha replicato l’amministratore delegato di Tesla (e proprietario di Twitter) Elon Musk.

Quello di Diaz non è un caso isolato. Tesla è stata bersaglio di numerose lamentele da parte dei lavoratori di colore secondo cui i dirigenti della fabbrica hanno chiuso un occhio sul frequente uso di insulti razzisti alla catena di montaggio e sono stati lenti a ripulire disegni con svastiche e altri simboli di odio nelle aree comuni. Diaz, per fuggire da questo ambiente, cambiò lavoro facendosi assumere alla Coca Cola. In un altro processo Tesla è accusata dal dipartimento per i diritti civili della California che sostiene che centinaia di lavoratori afroamericani nella sua fabbrica sono stati vittime di maltrattamenti, tra cui molestie, disparità di retribuzione e ritorsioni.

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