La clessidra è rovesciata e la sabbia non accenna a rallentare la velocità: il tempo per l’esecuzione dei progetti del Recovery plan si riduce e – tra le tante uscite pubbliche rassicuranti della presidente del Consiglio Giorgia Meloni – si capisce che è diventato un dossier a temperature cocenti sui tavoli di Palazzo Chigi. Meloni ha incontrato per due ore il presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Quirinale e i ritardi del Pnrr sono stati il primo punto del faccia a faccia citato dalle fonti di maggioranza. E oggi, per due volte, è arrivata un’offerta di aiuto del predecessore, Giuseppe Conte, che da capo del governo è colui che la cifra dei 200 e rotti miliardi per il Piano di recupero li ha portati a Roma da Bruxelles nei mesi dell’emergenza della pandemia. In una lettera al Corriere della Sera il leader M5s scrive che di fronte però “alla possibilità di perdere i fondi del Pnrr, anche una forza di opposizione intransigente come il Movimento 5 Stelle non può rimanere a guardare”. Qui “è in gioco la credibilità dell’Italia. Se falliamo sul Pnrr non fallisce solo Giorgia Meloni, fallisce l’Italia intera e la possibilità del suo definitivo rilancio. Perdere questa occasione significa lasciarsi sfuggire una capillare rivoluzione in termini di maggiori investimenti nella sanità, nelle scuole, nelle infrastrutture, in tutto ciò che può farci affrontare una impegnativa transizione ecologica e digitale, nel segno di una maggiore inclusione sociale“. Per questo, spiega Conte, il M5s “è disponibile a sedersi a un tavolo e a rimboccarsi le maniche per dare il proprio contributo nell’interesse comune, per rimediare ai ritardi collezionati in questi mesi e agli errori sin qui commessi. Dobbiamo farlo tutti, anche coloro che, come noi, sono linearmente all’opposizione”. L’ex premier mette due precondizioni poste al governo Meloni. La prima è una “grande operazione di trasparenza” per individuare cosa non funziona e dove intervenire. La seconda è l’ascolto del M5s e degli altri partiti che “vorranno offrire il proprio contributo”. Il Pnrr “non è una bandiera attorno alla quale ridursi a fare i tifosi – ribadisce l’ex premier – quei 209 miliardi hanno solo una bandiera, quella dell’Italia”.

Conte ribadisce questi concetti anche ai cronisti che lo fermano a Trieste dove si trova per iniziative elettorali per le Regionali. “C’è stato un investimento di grande fiducia da parte dell’Europa – sottolinea – non possiamo lasciare che vadano sprecate risorse destinate a rilanciare il nostro Paese dopo tantissima sofferenza. Lo dobbiamo a chi non c’è più, lo dobbiamo a chi è sopravvissuto e piange i suoi morti, lo dobbiamo all’Europa che ha voluto operare una svolta solidaristica, lo dobbiamo a noi stessi perché abbiamo l’opportunità di non essere più fanalino di coda in Europa”. Per questo il M5s tende la mano “e speriamo lo facciano tutte le forze politiche, sociali e tutte le autorità istituzionali dei vari livelli anche territoriali perché questo Pnrr sia realizzato sino all’ultimo progetto“. ”Vedrete – dice con una battuta Conte – di questo passo mi accuseranno di aver portato troppi soldi in Italia per nascondere l’imbarazzo di non riuscire a spenderli.

Al momento dal governo non arriva alcun cenno di risposta. Qualche reazione arriva dai partiti di maggioranza, come per esempio da Lucio Malan (capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato) e Paolo Barelli (capogruppo di Forza Italia alla Camera) con frasi che sembrano di circostanza. “Noi – dice Malan – dialoghiamo sempre con le forze di opposizione, specialmente su una cosa di così grande portata come il Pnrr, che già ha già attraversato due legislature. E’ bene che ci sia collaborazione: speriamo che da questo dialogo venga fuori un esito positivo. La disponibilità di Conte è sicuramente apprezzabile”. “Ciascuno ha le sue idee – aggiunge – in qualche caso ci può essere qualche suggerimento che viene raccolto”.

Prosegue invece il dialogo tra Roma e Bruxelles per limare il tempo perso e scongiurare la perdita delle risorse. La Commissione europea lancia la sua mappa in tempo reale per “aumentare la trasparenza” sull’avanzamento dei lavori e, con la terza tranche da 6 miliardi alla Spagna, supera quota 150 miliardi di euro sborsati dal 2021 a oggi ai Paesi membri. Una cifra che a fine aprile potrebbe salire ancora con la terza tranche da 19 miliardi di euro destinata all’Italia, per la quale l’Ue si è presa due mesi extra di tempo – fino a fine aprile – per esprimersi. E per la quale, è la rassicurazione del ministro della Difesa, Guido Crosetto, il governo “farà qualunque cosa possibile” per non perderne nemmeno “un euro”. Ma l’avvertimento di Bruxelles, arrivato direttamente da Milano dal commissario all’Ambiente Virginijus Sinkevicius, è chiaro: il Pnrr “non è stato calato dall’alto” dall’Ue e spetta al governo “reperire le risorse” per rispettare il cronoprogramma. Il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto fa sapere che c’è tutta la volontà di “superare le difficoltà sia per le questioni aperte sulla verifica degli obiettivi raggiunti sia per la prospettiva più generale”. Una prospettiva che la premier Giorgia Meloni punta a rendere “compatibile con le richieste” e “con priorità nuove” rispetto a chi aveva scritto il piano.

L’impasse potrebbe comunque sbloccarsi in diversi modi, che però sono rimedi estremi a mali estremi: per esempio con un trasferimento sui fondi di coesione Ue di quei progetti ritenuti per stessa ammissione del governo “impossibili” da realizzare oppure con la possibilità di trasformarli in aiuti di Stato da concedere alle imprese. Due soluzioni che darebbero respiro a Roma per avanzare senza l’assillo del 2026, linea rossa del ciclo vitale del Recovery. Ma da valutare comunque “anche con l’Italia” che, rimarca il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani, “ha diritto di far sentire la sua voce” per difendere i suoi “interessi”.

L’eventualità peggiore sarebbe quella di rinunciare a qualcosa perdendo una parte dei finanziamenti. Una strada prevista dal regolamento sul Recovery, ma che anche Bruxelles considera una misura da ultima spiaggia plausibile soltanto se Roma non riuscisse a dimostrare di poter rispettare tutti i 55 obiettivi e target previsti per il via libera alla terza rata. A sembrare esclusa è invece una proroga. Al momento sulla cartina interattiva dell’Ue si contano 105 progetti già dispiegati dall’Italia: quasi la metà del totale dei cantieri aperti in tutti gli altri Stati membri. Molti altri però restano ancora sulla lista da spuntare nel prossimo futuro, compresa la controversa riqualificazione dello stadio di Firenze e l’altrettanto discussa creazione del Bosco dello Sport a Venezia. Dopo l’ok alla fetta di finanziamenti “congelata”, il governo è chiamato a raggiungere entro giugno altri 27 tra cosiddette “milestone” e target per una quarta rata da 16 miliardi. E anche un’altra scadenza incombe: entro il 30 aprile il governo sarà chiamato a presentare il piano rivisto e integrato con il nuovo capitolo energetico del RePowerEu, da dove arriveranno nuove sovvenzioni da 2,7 miliardi. Anche per questo il mese che si apre sarà decisivo.

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