Cinque bersagli da colpire, in sequenza: il battito dell’atleta che deve rallentare dopo lo sforzo sugli sci, quello dello spettatore che invece può salire liberamente. La carabina in posizione, l’attesa, poi uno sparo via l’altro, sperando di vedere sempre “bianco”. Significa zero errori, adrenalina pura. Perché gli sbagli al poligono possono ribaltare gerarchie, rimescolare le carte, offrire o precludere sogni e speranze. Con un’unica certezza: il prossimo poligono potrà di nuovo capovolgere tutto. Fino al traguardo. Imprevedibilità e divertimento, in un’altra parola “biathlon“. Termine che fino a poco tempo fa era praticamente sconosciuto agli italiani. Oggi invece sta cambiando tutto: merito dei risultati dei nostri portacolori e di un format di gare che l’Ibu, la federazione internazionale indipendente dalla Fis, ha reso via via sempre più spettacolare e moderno.

Per la seconda volta nella storia due atlete azzurre hanno chiuso sul podio la classifica generale di Coppa del Mondo. Dorothea Wierer e Lisa Vittozzi si sono classificate seconda e terza alle spalle della francese Julia Simon. Nel 2018/2019 fu doppietta con Wierer che vinse la prima Sfera di Cristallo per l’Italia, poi replicata l’inverno successivo, davanti a Vittozzi al termine di una lotta tutta italiana. I risultati di queste due atlete, sommati a quelli dei compagni di squadra, hanno permesso al biathlon di uscire dalla nicchia e trovare un’inedita popolarità anche in Italia.

Il boom del biathlon non inizia certo nel 2023. La prima gara fondamentale è la staffetta mista delle Olimpiadi di Sochi 2014, dove l’Italia ha conquistato il bronzo con Wierer, Karin Oberhofer, Dominik Windisch e Lukas Hofer. “Prima dei Giochi russi il biathlon italiano non aveva raccolto nulla negli anni duemila – racconta l’ex azzurro Thomas Bormolini a ilfattoquotidiano.it – Hofer aveva vinto un argento ai Mondiali di Khanty-Mansiysk 2011 e Christian De Lorenzi e René Laurent Vuillermoz avevano ottenuto alcuni podi in Coppa del Mondo, ma nessuno in Italia conosceva il biathlon“. Bormolini non ha dubbi, è Wierer ad aver cambiato la dimensione della disciplina: “La sua figura ha trasformato questo sport e lo ha reso popolare. Ha saputo presentarsi benissimo e questo ha aiutato sia lei che il movimento intero”.

I trionfi della 32enne di Rasun hanno permesso a questo sport invernale di apparire sui principali mezzi di comunicazione, dai quotidiani alle televisioni. Pensiamo ai Mondiali di Anterselva 2020. La rassegna iridata altoatesina, nella quale Wierer ha vinto quattro medaglie di cui due d’oro, ha fatto registrare numeri incredibili sui media nazionali. Su RaiSport gli ascolti sono stati esponenziali, passando dai 105mila di media della staffetta mista ai 405mila, con punte superiori al milione e mezzo di contatti unici, nella mass start femminile. L’oro di Wierer nell’inseguimento fu visto da 352mila appassionati. Mentre il successo nell’individuale raggiunse 560mila spettatori. Senza contare i dati di Eurosport, dove furono 60mila le persone sintonizzate nella gara con partenza in linea femminile. Se però la Rai dopo i Mondiali 2020 non ha deciso di puntare sul biathlon, Eurosport è sempre stata e continua a essere la casa degli appassionati della disciplina, riuscendo a creare una vera e propria community, anche grazie alla competenza e alla passione di Dario Puppo e Massimiliano Ambesi. Le loro telecronache sono diventate un cult e un fenomeno social, contribuendo ad allargare e rafforzare il bacino degli appassionati.

“Nei primi anni in cui gareggiavo in Coppa del Mondo ad Anterselva venivano solo tifosi tedeschi – ricorda Bormolini – A partire dal 2018/2019, ma in particolare dai Mondiali 2020, è cambiato tutto. Erano tantissime le bandiere italiane a bordo pista e i sostenitori provenivano da tutto il Paese”. Quella rassegna iridata per risultati e interesse mediatico è il punto più alto della storia del biathlon italiano. Ma la crescita partì già prima. Almeno dal 2015/16, inverno in cui Wierer conquistò dieci podi individuali, un argento mondiale, vinse la Coppa di specialità nell’Individuale e chiuse terza in classifica generale. “I risultati di Wierer, Vittozzi, Windisch e Hofer – dice ancora Bormolini – hanno avuto un impatto importante. I bambini che li vedono gareggiare in tv vogliono essere come loro. Anche i social giocano un ruolo chiave. Wierer è l’atleta italiana degli sport invernali più seguita su Instagram. Ci siamo quasi, manca solo il boom finale”.

I numeri lo confermano. Secondo la Fisi, negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento esponenziale del numero di tesserati, favorito dai risultati delle squadre italiane in campo internazionale. Attualmente sono circa 660 i biathleti iscritti alla federazione italiana sport invernali. Tra loro, 350 competono nelle categorie giovanili, mentre 250 sono impegnati dal circuito di Coppa Italia fino alla Coppa del Mondo. Le regioni con il maggior numero di tesserati sono Alto Adige, Valle d’Aosta e Piemonte. Le prime due sono anche quelle con più poligoni omologati per le gare sul territorio italiano. Nella provincia autonoma di Bolzano sono tre: Anterselva, Val Martello e Val Ridanna. In quella di Aosta due: Bionaz e Brusson, su un totale di dieci impianti. “Le infrastrutture per praticare il nostro sport sono aumentate. Oggi ogni località invernale di una certa importanza ha un poligono. Una delle novità è la struttura di Frassinoro, in Emilia-Romagna, che dev’essere completata e diventerà il primo impianto per il biathlon dell’Appenino“, spiega sempre Bormolini.

Stando a fonti della federazione invernale, nel 2022 il budget stanziato per la squadra nazionale è stato di circa 900mila euro. Denaro destinato all’attività agonistica che comprende allenamenti, trasferimenti e alberghi. L’Italia sta investendo risorse sulla disciplina, ma chi lo fa da sempre è la federazione internazionale del biathlon. “L’IBU è un’organizzazione all’avanguardia perché si adatta al periodo storico – sottolinea Bormolini, che per l’organo mondiale del biathlon è ambasciatore per la gender equality – È in prima linea nella sostenibilità, nella parità di genere e a livello climatico. Attualmente sta portando avanti una campagna per piantare alberi nel mondo e sta pensando a nuovi metodi per produrre neve in maniera sostenibile“.

L’IBU è attenta anche nel coinvolgimento degli atleti: “Se sei Johannes Boe o Thomas Bormolini non cambia, tutti sono visti allo stesso modo. Ti senti parte di un gruppo veramente coeso”. Uno dei grandi pregi dell’associazione internazionale è proprio non lasciare indietro nessuno: “Gli stipendi degli atleti dal 2010 a oggi sono incrementati. Da biathleta se penso all’IBU mi sento al sicuro e protetto da un grande famiglia che guarda al bene di tutti. A tal proposito, ha avviato progetti per allargare la disciplina a nuove nazioni come Brasile, Australia e Cile. Inoltre, ha indetto un corso di formazione per allenatori in cui finanzia direttamente le federazioni nazionali per fare in modo che esse gli portino nuovi coach”. Il biathlon in Italia è in crescita e sempre più persone si stanno appassionando alla disciplina: ora l’obiettivo a lungo termine sono i Giochi di Milano-Cortina 2026. Le Olimpiadi in Italia sono un’enorme opportunità per far conoscere questo sport invernale. E Bormolini assicura: “Saremo competitivi”.

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