“Oggi abbiamo la sentenza di secondo grado vedremo cosa manca ancora come lavoro di completamento per arrivare a una ricostruzione che faccia luce davvero su accadimenti storici di grande rilievo Ancora rimane da fare. Ci sono certamente dei passaggi che vanno fatti, ma è prematuro anche comprendere se, dato il tempo trascorso, ancora ci sono tracce su cui si può fare un certo tipo di lavoro. Speriamo di sì”. Lo ha affermato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo dopo la lettura della sentenza del processo “‘Ndrangheta stragista” che sabato pomeriggio si è concluso con la conferma dell’ergastolo per il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e per Rocco Santo Filippone, ritenuto espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro.

Come è stato per la sentenza di primo grado, anche per la Corte d’Assise d’Appello presieduta da Bruno Muscolo (a latere il giudice Giuliana Campagna), entrambi gli imputati sono i mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi il 18 gennaio 1994 sull’autostrada all’altezza dello svincolo di Scilla in provincia di Reggio Calabria.

Per la Dea quell’attentato rientrava nelle cosiddette “stragi continentali” così come altri due agguati ai danni di altrettante pattuglie dei carabinieri. Stragi continentali che si inserivano nella “strategia stragista” che ha insanguinato il Paese nella prima metà degli anni novanta e che era stata messa in atto da Cosa nostra e ’Ndrangheta in una sorta di guerra contro lo Stato.

Ad attendere la sentenza, a fianco del procuratore aggiunto Lombardo, c’era il sostituto della Dea Walter Ignazitto e il procuratore generale Gerardo Dominijanni. Secondo quest’ultimo “ovviamente leggeremo le motivazioni ma insomma sembrerebbe che dire che l’ipotesi che il collega Lombardo ha seguito sin dal primo grado, sia confermata”.
Prima di lasciare l’aula della Corte d’Assise d’Appello, Lombardo ha sottolineato anche l’importanza che in questo processo hanno avuto le intercettazioni: “Siamo sempre stati aperti al confronto. A mio modo di vedere è uno strumento indispensabile. – ha ribadito – È uno strumento che va certamente utilizzato con grande attenzione ma non si può assolutamente prescindere, soprattutto adesso, dallo sfruttare fino in fondo le nuove tecnologie connesse proprio con l’attività di intercettazione”.

In aula c’era pure Bartolomeo Musicò, uno dei carabinieri vittima degli attentati oggetto del processo: “Ormai dopo trent’anni è rimasto solo il ricordo anche se giustamente diciamo, sotto la data del primo febbraio ci sono sempre ricordi particolari. Uno ricorda sempre quella serata però chi ha famiglia, riesce a superare il tutto. Naturalmente il pensiero va sempre ai colleghi che purtroppo non ci sono più e non mi riferisco solo a Fava e Garofalo, ma a tutti quelli che hanno subito danni seri rimettendoci la vita”.

Articolo Precedente

Permesso premio di 12 ore per il boss della Stidda Giuseppe Grassonelli: era in cella da oltre 30 anni, la metà dei quali al 41bis

next
Articolo Successivo

Nasce l’associazione Parenti delle vittime della Falange Armata, Salvatore Borsellino: “L’ultima speranza di avere verità e giustizia”

next