Mi spiace leggere la definizione data da una dotta professoressa di giurisprudenza sul maxiprocesso. La docente Daniela Chinnici – come riporta l’edizione palermitana di Repubblica – ha definito il maxiprocesso “un obbrobrio”: parole pronunciate durante una lezione di mafia all’Università di Palermo, alla presenza del magistrato Nino Di Matteo. Mai e poi mai avrei voluto leggere una definizione così offensiva verso i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, oltre che verso il presidente Alfonso Giordano e l’intera Corte.

A me duole leggere di tanto in tanto queste espressioni sprezzanti – stante il significato del sostantivo obbrobrio – verso un processo che diede la stura alla capitolazione dei corleonesi di Cosa nostra. Il sottoscritto diede, insieme ai colleghi della squadra mobile palermitana, un modestissimo contributo alle indagini di polizia giudiziaria, tant’è che fui poi chiamato a testimoniare nel processo de quo. Tralascio alcuni concetti espressi dalla docente Chinnici, ma ne evidenzio uno: “Ben vengano i poteri rafforzati di chi fa le indagini – ha proseguito Chinnici – ma nei processi ai mafiosi devono esserci le stesse garanzie e gli stessi diritti dei processi ai ladri di auto”.

Ecco, sarebbe opportuno che la prof ci dicesse in quali processi di mafia non sono stati rispettati le garanzie e i diritti degli imputati. E poiché la prof accenna a diritti negati nei processi di mafia, cosa può dirci sui processi contro la mafia siciliana celebrati negli anni ’60 a Catanzaro e Bari? Ricordo sommessamente che nel processo di Bari gli unici diritti calpestati furono commessi in danno del popolo italiano. Il presidente della Corte d’Assise, Vincenzo Stea, ricevette la seguente lettera di minaccia: “Voi baresi non avete capito o, per meglio dire, non volete capire cosa significa Corleone. Voi state giudicando degli onesti galantuomini che i carabinieri e la polizia hanno denunciato per capriccio. Noi vi vogliamo avvertire che se un galantuomo di Corleone sarà condannato, voi salterete in aria, sarete distrutti e sarete scannati come pure i vostri familiari. A voi ora non resta che essere giudiziosi“.

Il risultato? Furono tutti assolti (64 imputati) tra i quali Salvatore Riina, Luciano Liggio e Bernardo Provenzano, mentre a Catanzaro su 117 imputati furono condannati solo quattro mafiosi. Verosimilmente in quei due processi i diritti dei mafiosi furono rispettati. E’ vero professoressa? E già erano stati considerati ladri di auto. E ora una riflessione personale: ritengo giusto e doveroso che la storia della mafia siciliana venga esaminata, discussa e sezionata in qualsiasi scuola di ogni ordine e grado.

Tuttavia bisognerebbe tener presente che il maxiprocesso sancì definitivamente la responsabilità dei cosiddetti uomini d’onore: uomini e donne dello Stato, insieme al popolo italiano, ebbero giustizia. Giustizia raggiunta con l’abnegazione, senso del dovere e spirito di servizio di due galantuomini siciliani: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Altro che obbrobrio, professoressa Chinnici. Porti i suoi studenti nella chiesa di San Domenico dove riposa il magistrato Giovanni Falcone e nel cimitero di Santa Maria di Gesù dove è sepolto il magistrato Paolo Borsellino.

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