A chi si chiede se dopo la pandemia di Covid, che ha sconvolto il mondo e nella sola Italia ha provocato 188mila morti, saremmo pronti all’ingresso nelle nostre vite e nei nostri polmoni di agente patogeno X la risposta potrebbe essere che dipende. Esiste un aggiornamento del famoso piano pandemico (2006) più volte evocato, anche nell’inchiesta della procura di Bergamo, ed è datato gennaio 2021 quando stavano per arrivare, in modesta quantità, i primi vaccini. In una situazione quindi di assoluta emergenza e in assenza di tutte le informazioni che abbiamo oggi. Ma a leggere però le 131 pagine del documento – con linea guida, obiettivi, azioni da mettere in attori, attori da coinvolgere (dal ministero della Salute in giù) – però si capisce che appunto si tratta di un aggiornamento del piano pandemico per l’influenza. E infatti il primo richiamo è al documento dell’Oms del 2018 sul virus ampiamente noto e per cui ogni anno si prepara il vaccino. Si parla aa un certo punto di “lezioni apprese apprese nel corso della attuale pandemia da Sars Cov 2 … che, sebbene causata da un altro virus, ha messo in evidenza punti di forza e debolezza dei servizi sanitari nel reagire a pandemie da virus respiratori altamente trasmissibili e ad alta patogenicità”, ma il riferimento resta sempre e comunque all’influenza. Ad attuare il piano le Regioni a cui è demandata l’attuazione, il successivo monitoraggio e lo stato di avanzamento che hanno in linea generale approntato i piani a livello territoriale.

Nel documento ci sono tabelle e scadenze e ovviamente sono presenti tutte le attività che abbiamo imparato a considerare importanti di fronte a una epidemia: diagnostica, monitoraggio, sorveglianza, sequenziamento, posti letto. Soprattutto quelli in terapia intensiva. Ma è a pagina 116 (su 131) – con una introduzione giuridica su quanto è stato fatto e previsto – che arrivano le lezioni da imparare. Cosa ci ha insegnato la pandemia? “La flessibilità del sistema sanitario” con cui si sottolinea l’importanze di riorganizzare e riconvertire in caso di necessità, “la necessità di intervento sul sistema sanitario territoriale” dove la parola d’ordine è “potenziamento” sugli aspetti strutturali come per esempio la medicina territoriale. E c’è poi ovviamente il capitoletto che riguarda le mascherine e la necessaria produzione sul territorio nazionale per non dipendere mai più dall’estero.

Ma cosa ne pensano gli scienziati che in questi anni le conseguenze del Covid le hanno vissute? “Ben venga l’aggiornamento in cui si fa riferimento alla lezione del Covid e in un passaggio anche al patogeno X – dice Fabrizio Preglisco, docente di Igiene e Medicina Preventiva all’Università Statale di Milano al fattoquotidiano.it – Quando è arrivato Sars Cov 2 non eravamo pronti anche perché non avevamo neanche gli strumenti diagnostici. Con questo tipo di piano certo monitoro quello che già conosco e chi lo ha redatto ha spiegato che va ulteriormente aggiornato. Come sempre giocano un ruolo importantissimo le risorse che si hanno a disposizione, ma è importante anche il coordinamento. La territorializzazione (previsa con i piani attuativi regionali, ndr) va bene, ma allo stesso tempo è importante la centralizzazione“. Ma saremmo pronti a un nuovo patogeno X? “Io credo che ora siamo più allenati. Quando è arrivato il Covid c’erano stati altri virus – aviaria, Sars, influenza H1N1 e anche Zyka – che avevano destato allarme, ma che sono stati considerati quasi fake news pandemiche. Quindi avevamo la guardia bassa, ora saremmo più pronti. Ma anche di fronte al piano perfetto se poi le persone non si vaccinano, non mettono la mascherina e non accettano le chiusure, cosa succede?”.

“Saremmo impreparati perché abbiamo continuano a smantellare il sistema sanitario nazionale – ragiona Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri in una intervista a Radio 24 – Neanche adesso saremmo capaci di fare di più perché salute e mercato non possono andare insieme”. A La Stampa Remuzzi, autore con il professor Fredy Suter dello studio sull’utilizzo degli antinfiammatori – ha detto: “Siamo nelle stesse condizioni di tre anni fa. Con alcune aggravanti: abbiamo meno medici di prima, meno infermieri di prima e un’aberrazione come lo è il meccanismo dei medici a gettone”.

“Il piano pandemico è indispensabile e fa il punto degli elementi che devono essere messi a sistema – spiega a Il Messaggero Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali e professore di malattie infettive all’Università Tor Vergata di Roma – il problema è che restano ancora le solite criticità. Innanzitutto, i presidi sanitari italiani sono carenti sia strutturalmente che in termini di personale sanitario impegnato. Poi occorre rinforzare le aree cronicamente carenti, come appunto le terapie intensive. Il personale sanitario sia medico che infermieristico è ancora fortemente ridotto”. Intanto è sotto stretta sorveglianza l’influenza aviaria H1N5 e tanti scienziati già da tempo concordano sul fatto di prepararsi a meglio perché il prossimo virus potrebbe non essere così “accomodante come Sars Cov2”.

Articolo Precedente

8 marzo, sciopero generale: aderiscono anche i trasporti, stop ai treni e alle linee metro e bus – gli orari

next