Ogni quattro anni, con le estati olimpiche a riempire giornali ed esultanze, spunta qualche atleta che dal semi anonimato passa alla gloria. Questione di minuti: di prestazioni più o meno perfette che valgono le medaglie ai Giochi e l’ingresso nella ristretta categoria degli sportivi che ce l’hanno fatta. Di solito succede nelle discipline minori, definite così a causa dell’insopportabile vizio di pesare l’importanza di uno sport in base al seguito di pubblico. Ma tant’è. Non è questo il punto. Fatto sta che da essere nessuno, diventi un Dio. Per qualche giorno. E approfitti della ribalta mediatica. E ripensi a tutti i sacrifici fatti. E partono i ringraziamenti. Fateci caso: il primo grazie di solito è per “il mio maestro, quello che ha creduto in me e mi ha spinto a continuare nonostante le difficoltà”. Ecco: i primi maestri, quelli che insegnano sport, che crescono uomini e donne per farli diventare campioni. Vogliamo raccontarli così: capire il loro modo di intendere la competizione, scoprire i loro metodi, conoscere i loro aneddoti, sapere da chi hanno imparato. Ci saranno maestri noti e meno noti, espressione di discipline con grande o poco seguito. Unico comune denominatore: loro sono lo sport che insegnano e che hanno contribuito a migliorare. (Pi.Gi.Ci.)

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O Maè è un’espressione napoletana e anch’io chiamavo così il mio vecchio maestro. Ma dopo l’oro olimpico del 2000 di mio figlio Pino, tanti atleti sono arrivati in palestra e hanno iniziato a chiamarmi tutti così, compresi i ragazzini più piccoli che già la frequentavano”. Classe 1956, Giovanni Maddaloni è insegnante tecnico dal 1982. Dal 1988 è insegnante e direttore tecnico della Star Judo di Scampia, dove oltre a far crescere talenti sportivi, si occupa di progetti sociali in un quartiere problematico di Napoli. “Il mio maestro è stato Enrico Bubani, allievo a sua volta di Nicola Tempesta. Io tiravo di boxe e frequentavo il secondo anno di una scuola professionale, quando è venuto a mancare mio papà. Sono stato costretto ad abbandonare la scuola e ad andare a lavorare. Siccome mi ero appassionato dei film di Bruce Lee e della gestualità di quell’attore, andai nella palestra di Secondigliano. Mi colpì subito il maestro, mi sono innamorato della persona, del suo modo di parlare. Bubani era un vigile urbano in pensione, una persona bravissima. Diventò per me una specie di secondo padre”.

Cosa le ha insegnato?
“Esigeva dai propri allievi disciplina, mi ha insegnato i fondamentali del judo. Io ero un soldato che ascoltava ed eseguiva. Via via mi ha dato sempre maggiore responsabilità in palestra. Gestivo io alcune ore di ginnastica, addirittura facevo tutta la lezione quando lui non poteva essere presente”.

Cosa deve fare un ragazzo che entra nella sua palestra?
“Osservare le regole sul tatami, ancora prima della tecnica. Il comportamento, il saluto, chiedere il permesso prima di salire. L’educazione prima di tutto, già da bambini. Anche un campione avrà una carriera sportiva breve se non ha educazione. Se ce l’ha, un giorno può diventare a sua volta maestro e un esempio per la sua palestra”.

Il maestro Bubani ha continuato a frequentare la sua palestra?
“È mancato nel 2012, prima che si ammalasse ha continuato a venire, si metteva ancora il judogi ed era una specie di nonno per tutti. Un uomo vero, che diceva sempre con coraggio quello che era giusto dire”.

Le soddisfazioni più grandi in questi anni?
“Sognavo di vincere una medaglia d’oro e l’ho vinta con Pino, ma la metto alla pari di altri successi. Per esempio Francesco è un mio collaboratore che viene da una famiglia che ha avuto problemi con la giustizia, oggi insegna ai bambini e segue alla lettera i miei metodi tecnici. Questa, come tante altre sono le mie medaglie d’oro, che mi arrivano per aver cambiato la storia di una persona che magari sembrava già condannata. Quando mi chiamò la scuola, Francesco aveva 13 anni e faceva il bullo. Arrivai nella segretaria dell’istituto e lo trovai scortato da due carabinieri. Si combatte anche così l’illegalità e la criminalità”.

La sua palestra è anche una storia familiare.
“Pino è nato che avevo 20 anni e quando ha vinto il primo titolo giovanile ne avevo 32. Siamo cresciuti insieme. Oggi è il responsabile delle Fiamme Oro, ogni tanto passa a trovarci in palestra. Marco mi porta il figlio Giovanni, cintura verde di judo, si diverte ed è bravino. Laura ha una sua palestra, le sue gemelline fanno judo una e boxe l’altra. Sono nonno di ben otto nipoti”.

E poi c’è Bride…
“Bride è il mio figlio adottivo, nato da un papà maliano e una mamma nigeriana. L’ho preso con me che aveva 2 anni, ora ne ha 19 ed è un atleta delle Fiamme Oro, vice campione Junior. Sogna l’Olimpiade, non credo ce la farà per quella di Parigi ma l’obiettivo è quella successiva. È bravo, ma ci sono anche altri atleti italiani che meritano di andarci. Bisogna restare umili”.

Cos’è per lei il judo?
“E’ uno sport aggregante, inclusivo, formativo. Risultano fondamentali sempre le mamme che accompagnano i figli in palestra. Perché la donna è forte e sa quale è la strada giusta: quando capiscono il valore dello sport, sanno tenere il figlio lontano dai cattivi esempi”.

Chi altro sogna l’Olimpiade?
“Susi Scut, oggi nella Guardia di Finanza, categoria 48 kg. Martina Esposito, Carabinieri, 70 kg. Sono entrate in palestra da me che avevano cinque anni…”.

Ma oggi da chi è frequentata la Star Judo di Scampia?
“In palestra vengono all’ incirca ottanta persone tra adulti e bambini. Dai 60 anni in su non faccio pagare, gli anziani devono fare movimento per non invecchiare precocemente. Se prometti una cosa devi poi comportarti da uomo. Io ho promesso che anche chi non poteva pagare, sarebbe potuto venire lo stesso”.

Ci sono delle promesse che non è riuscito a mantenere?
“Sto male pensando che la Cittadella dello sport a Scampia, per garantire sport gratuiti e combattere l’illegalità, non è ancora stata aperta. Ma ci credo ancora. Poi ho sofferto che a causa della pandemia non potevo accogliere i detenuti per un percorso di rieducazione, progetto partito nel 2012. In questi giorni finalmente ho sbloccato la situazione e ne arriveranno almeno un paio in palestra”.

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