Chi doveva decidere di far partire un’operazione di soccorso per individuare e recuperare il caicco di legno al largo di Crotone? O meglio: chi doveva porsi il problema di trasformare quella che per prassi comincia come una operazione di “law enforcement“, cioè di polizia anticrimine con l’obiettivo di arrestare gli scafisti, in una missione di soccorso, Sar, cioè search and rescue, “cerca e recupera”? Ancora non è chiaro cos’è accaduto – o forse cosa non è accaduto – nella notte tra sabato e domenica, tra le varie articolazioni dello Stato: la Guardia di Finanza che dipende dal ministero dell’Economia, la Guardia Costiera che dipende dal ministero dei Trasporti e poi il Viminale che in ogni caso partecipa quando si tratta di questioni di sicurezza. I dettagli su quelle ore sono arrivati a lento rilascio. Senza dimenticare che, almeno fino a sei anni fa, la Guardia costiera enunciava pubblicamente un concetto precauzionale: “Ogni barca sovraffollata è un caso Sar e una possibile situazione di pericolo”.

Il corpo delle Capitanerie ha parlato in viva voce per la prima volta solo tre giorni dopo la strage e lo ha fatto con un comandante “di provincia”, il capitano di vascello Vittorio Aloi che guida la Guardia Costiera di Crotone (non una sede “principale”, ma dipendente dal Dipartimento marittimo di Reggio Calabria) e che ha tentato invano di evitare di parlare con i giornalisti che se lo sono trovato davanti alla camera ardente. “Crediamo di avere operato anche in questo caso secondo le nostre regole d’ingaggio – ha detto Aloi – Ci dispiace soltanto leggere sui giornali che non abbiamo fatto il soccorso”. L’ufficiale ha ribadito che la Guardia Costiera avrebbe avuto tutte le possibilità di intervenire, ma che non l’ha fatto perché non è mai partita una richiesta di soccorso. Perché non è mai partita? Il comandante si limita a dire che le “regole d’ingaggio” – come le chiama lui – sono complesse, precisa che “non è burocrazia” e che quelle regole “spesso sono promanate dal ministero dell’Interno”.

E dunque riecco il punto: chi deve decidere come intervenire, con quali mezzi, quale urgenza e con quali scopi? L’agenzia europea Frontex – dalla quale è partita la prima segnalazione della presenza del barcone, sabato sera – oggi tra le altre cose precisa: “Sono sempre le autorità nazionali competenti a classificare un evento come ricerca e soccorso“. Insomma, toccava all’Italia. La struttura dell’Ue ha informato le “autorità” fornendo la posizione dell’imbarcazione, le immagini a infrarossi, la rotta e la velocità. Eppure Cosimo Nicastro, portavoce della Guardia Costiera, dopo giorni in cui ha lasciato senza risposte vari giornali tra i quali questo, è ricomparso a 5 Minuti, il nuovo programma di Bruno Vespa in primissima serata, per dire che “gli elementi di cui eravamo a conoscenza noi e la Guardia di Finanza non facevano presupporre che ci fosse una situazione di pericolo per gli occupanti. Non erano arrivate segnalazioni telefoniche né da bordo né dai familiari. E allo stesso tempo la barca, partita 4 giorni prima dalla Turchia, non aveva riportato alcuna informazione alle altre omologhe organizzazioni di guardia costiera che ha attraversato”.

E’ ormai l’acclarata linea difensiva del governo perché la ripete anche il ministro Piantedosi in Parlamento: “L’assetto aereo di Frontex che per primo aveva individuato l’imbarcazione non aveva segnalato una situazione di pericolo o distress a bordo indicando la presenza di una persona sopra coperta e di altre sotto coperta e una buona galleggiabilità dell’imbarcazione” ha ribadito il capo del Viminale incalzato dal deputato di +Europa Riccardo Magi. “Se non si mette in moto la macchina dei salvataggi perché qualcuno decide sia una questione di law enforcement e non di ricerca e soccorso – ribatte il parlamentare di opposizione – c’è qualcosa che non funziona e su questo vorremmo una risposta precisa”. Per Piantedosi, sostanzialmente, tutto è dipeso da Frontex. Non chiarendo la catena di comando perché altrimenti “si penserebbe che accuso questo o quell’altro”, il ministro ha rimarcato che nel “settore marittimo di coordinamento dei soccorsi c’è una sovrapposizione tra funzioni di law enforcement e operazione Sar”.

E Frontex, ha sottolineato, “oltre ad aver detto che c’era visibilità di una sola persona in coperta, pur considerando che c’è anche la rilevazione termica, ha dichiarato che c’erano buone condizioni di navigabilità”. Insomma: “L’episodio è stato un evento drammatico e tragico, ma del tutto contingente all’arrivo, con una secca che ha fatto arenare il battello”, ha tagliato corto nella replica ai deputati sorvolando sul passaggio in cui l’Agenzia europea rimarcava la possibilità di “altre persone sotto coperta” vista la “significativa risposta termica” delle immagini e l’assenza di giubbotti di salvataggio visibili dalle riprese aeree, un elemento da tenere in considerazione per la catalogazione dell’intervento come law enforcement o Sar. Quel principio era ripetuto anche nelle slide di una presentazione della stessa Guardia costiera all’ISU Associate Members’ Day che si tenne a Londra il 22 marzo 2017, con tanto di premiazione ritirata dal contrammiraglio Nicola Carlone. In quell’occasione, spiegando l’organizzazione delle operazioni Sar, come “principio di precauzione” la Guardia costiera indicava che “ogni barca sovraffollata è un caso Sar e una possibile situazione di pericolo”. Di più: nel comunicato di martedì la Guardia costiera rimarcava come non fossero mai arrivate richieste d’aiuto dall’imbarcazione. Sei anni fa, invece, negli aspetti precauzionali evidenziava che “la fase di distress inizia anche senza un esplicito segnale di soccorso”. Nel mezzo sono arrivati due decreti Sicurezza e nuove regole d’ingaggio. Resta da capire se sia cambiato qualcosa anche sotto il profilo della precauzione.

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