Una domenica uggiosa d’inverno, mezza Italia battuta dal maltempo. Chiusi in casa stravaccati sul divano, panza piena, plaid sulle ginocchia e telecomando puntato sul televisore. Resta solo una partita per salvarci dall’abbrutimento domenicale, e nemmeno quella: il weekend di campionato ormai è un ricordo. Qui non leggerete la solita polemica passatista su tutto il calcio minuto per minuto e la nostalgia per la cara, vecchia partita delle 15. Le pay-tv sono una parte fondamentale del sistema calcio, anzi praticamente si può dire che da sole mandino avanti il carrozzone, quindi tornare all’antico semplicemente non sarebbe possibile. Anticipi e posticipi sono indispensabili, comanda la logica commerciale ma a un certo punto bisognerà pur fissare un limite. Quello appena trascorso è stato praticamente un weekend senza Serie A: appena quattro gare nell’intera domenica, per l’unico match interessante (Milan-Atalanta) si è dovuto aspettare la sera. Niente Lazio, Roma, Fiorentina e Juventus, relegate tra lunedì e martedì sera, quando il derby di Torino chiuderà il turno spalmato addirittura su quattro giorni. Qui si va oltre lo spezzatino, siamo proprio al macinato.

Prima o poi la Serie A dovrà cominciare a riflettere sul calendario. Si parla tanto di Superlega come morte dei tornei nazionali (e sicuramente lo sarebbe), ma una certa subalternità dei campionati alle coppe esiste già oggi, nei confronti delle competizioni Uefa, ed è comunque nociva. Al di là di alcune scelte di per sé infelici (Napoli e Inter rispettivamente alle 18 e a mezzogiorno, non esattamente orari prime time, per lasciare l’anticipo serale all’imperdibile Lecce-Sassuolo), è la tendenza generale a inquietare. Qual è il senso di tenere fuori dal weekend quattro big o semi-big per ritrovarsi con un’intera domenica pomeriggio senza una partita decente? Ovvio, il riposo chiesto a gran voce da giocatori e allenatori. Ve lo immaginate Sarri costretto a giocare domenica alle 3 dopo il giovedì di Europa League? Ormai avere una gara di coppa infrasettimanale significa automaticamente anticipare o posticipare in campionato, in futuro con la nuova Champions a 36 squadre non potrà che andare peggio. E a questo poi si aggiunge la richiesta dei broadcaster di non avere gare in contemporanea. Però le esigenze dei tifosi non dovrebbero contare meno.

Svuotare la domenica, la giornata più libera e congeniale per gli appassionati, probabilmente non è una grande idea se vogliamo ripopolare gli stadi, e anche valorizzare il prodotto Serie A (lo spettacolo di ieri è stato desolante). Così come è una mancanza di rispetto nei confronti dell’abbonato piazzare una partita il lunedì o il martedì alle 18.30, perché di fatto significa impedirgli di andare a vederla, o costringerlo a prendersi mezza giornata di ferie per farlo. Per ottenere cosa, poi: il Monday night, quasi sempre un match di seconda o terza fascia, non ancora entrato (forse mai ci entrerà) nella cultura calcistica del nostro Paese, totalizza mediamente ascolti risibili, in linea con le tanto vituperate gare delle 15 che Lega e pay-tv sembrano voler abolire, anche quando ce n’è più d’una. Segno che la frammentazione estrema del palinsesto, che ha pochi paragoni anche all’estero, magari aumenterà gli eventi e quindi gli spazi pubblicitari, ma non gli abbonati, anzi, li fa pure arrabbiare. Non solo di Superlega ma anche di spezzatino muore la Serie A.

Twitter: @lVendemiale

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