I venti di guerra soffiano come mai prima d’ora, mentre la diplomazia non solo si è impantanata nella palude di quella che molti iniziano a considerare una guerra per procura, ma addirittura arretra. È questa la tendenza registrata da chi ha osservato le ultime settimane di guerra. Un trend pericoloso perché rischia di rompere definitivamente il delicato equilibrio tra scontro sul campo di battaglia e dialogo ai tavoli negoziali (o anche solo sotterraneo) che può impedire un allargamento del conflitto che significherebbe Terza Guerra Mondiale. Così, mentre Vladimir Putin promette di usare qualsiasi mezzo per assicurare la vittoria russa, Xi Jinping invia il suo ministro degli Esteri a presentare il proprio piano di pace ai vertici dell’esecutivo di Mosca. Un piano che già in partenza non piace agli Stati Uniti perché consegnerebbe alla Cina, il loro principale competitor a livello internazionale, il ruolo di mediatore, oltre a rappresentare un primo passo verso un nuovo ordine mondiale multipolare.

Il nuovo livello massimo della tensione è stato toccato dal presidente russo nel corso del suo ultimo intervento alla Duma. Putin ha trasformato quella che era una guerra “contro i nazisti ucraini” o per “liberare le popolazioni russe del Donbass“, in uno scontro “per la sopravvivenza della Russia“. Tradotto utilizzando la dottrina militare della Federazione: se a essere minacciata è l’esistenza del Paese, l’uso dell’arma atomica è consentito, anche se lo stesso Putin ha garantito che “non la utilizzeremo noi per primi”. Ciò che emerge è anche che le attenzioni del Cremlino si sono definitivamente spostate dal nemico locale, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, a quello globale, ossia gli Stati Uniti, la Nato e, di riflesso, i Paesi europei.

Una visione più ampia e più ambiziosa che, nella mente dei vertici moscoviti, dovrebbe portare a una riorganizzazione dell’ordine mondiale, con Washington che perderebbe il suo ruolo di potenza egemone in favore di un nuovo equilibrio multipolare che prevede l’ascesa in primis della Cina, a traino della Russia e, in futuro, anche di altri Paesi del mondo in crescita. Una visione condivisa anche da Pechino che rappresenta il principale punto d’incontro con la Federazione, tanto da convincere Xi Jinping a parlare di “amicizia senza limiti” nel corso del famoso incontro con Putin durante l’inaugurazione dei Giochi Olimpici Invernali di Pechino.

Questa alleanza tra Russia e Cina, d’intenti ma mai militare, ha scatenato la reazione degli Usa, già impegnati in uno scontro commerciale con Pechino acuitosi nel corso del mandato di Donald Trump che adesso sta conoscendo una nuova escalation. Dallo scambio d’accuse sui presunti palloni-spia cinesi intercettati sui cieli statunitensi e quelli che, secondo Pechino, Washington avrebbe spedito sopra la Cina, fino all’infinito scontro su Taiwan e le tensioni nell’Indo-Pacifico, lo scontro è ormai ben avviato. Lo dimostra anche la scelta di Joe Biden di volare a Kiev per incontrare Zelensky proprio nel giorno in cui il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, è arrivato a Mosca per presentare al Cremlino i 12 punti del piano di pace. Una mossa letta come una dimostrazione di forza di Washington sul proprio sostegno a Kiev.

Il problema, se lo si guarda solo dal punto di vista della guerra in Ucraina, è che si sta parlando delle due potenze che, insieme alla Russia, potrebbero decidere l’esito del conflitto sedendosi a un tavolo di pace. Ma, come detto, le posizioni appaiono ancora molto distanti. La Repubblica Popolare ha inviato il suo personale messaggio all’Occidente: “Alcuni Paesi devono smettere di alimentare il fuoco“. Per il momento, però, il fuoco della guerra arde più di prima, quello della diplomazia si è ridotto a un lumicino.

Twitter: @GianniRosini

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