“Vorrei chiedere a mio padre perché ha deciso di rovinare la nostra vita. Proverò a parlargli, forse alla prossima occasione”. I loro sguardi si sono incrociati per una frazione di secondo, nell’aula del tribunale di Busto Arsizio (Varese) dove si è tenuta l’udienza del processo a carico di Alessandro Maja: nel maggio scorso, l’uomo ha ucciso nel sonno la moglie Stefania Pivetta, 56 anni, la figlia Silvia di 16 anni e ha gravemente ferito l’altro suo figlio, il 24enne Nicolò, oggi in carrozzina dopo una serie di interventi chirurgici. Nella mattinata di venerdì 17 febbraio, il ragazzo si é presentato a Palazzo di Giustizia con una maglietta con le immagini della madre Stefania e della sorella Giulia “perché volevo portarle con me – ha detto Nicolò – mi danno quella spinta…”. Lui è l’unico sopravvissuto all’aggressione del padre, avvenuta nella notte tra il 3 e il 4 maggio scorsi: “Rivederlo in aula non è stato facilissimo, io l’ho guardato ma non so se lui mi ha visto”, ha raccontato, per poi ribadire di volergli parlare “forse alla prossima occasione”, per domandargli “perché ha deciso di rovinare la nostra vita”.

Durante l’udienza, dove Alessandro Maja sedeva accanto al suo legale, è stato conferito l’incarico al perito che dovrà giudicare le condizioni psichiche dell’ex arredatore di interni milanese che ha trucidato la sua famiglia e che da quella notte parla poco, si è chiuso in se stesso e non ha mai dato una spiegazione della strage. Il prossimo 19 maggio, si tornerà in aula con una risposta sulla sua personalità e sulle sue condizioni mentali. Nicolò, diventato pilota d’aereo qualche settimana prima delle aggressioni, oggi vive con il nonno e lo zio materni, continua la fisioterapia e le cure.

Quella notte, quando tutta la sua famiglia stava riposando nella villetta di Samarate, nel Varesotto, dove vivevano da anni, Alessandro Maja si è alzato dal divano dove da qualche tempo dormiva, ha impugnato un coltello e un martello, è salito al piano di sopra della loro villetta, e si è scagliato contro la moglie che, aggredita nel sonno, non ha avuto tempo e modo di reagire. Poi è entrato nella stanza di Giulia, che ha provato a difendersi, ma è crollata sotto la furia del padre.
Anche Nicolò si è difeso, e almeno lui è riuscito a sopravvivere, nonostante le ferite gravissime per cui è stato portato in ospedale fra la vita e la morte. Ha trascorso settimane in coma e subito numerosi interventi chirurgici con il rischio di non poter recuperare completamente le sue facoltà cognitive. Oggi, mentre continua a lottare per costruirsi una nuova normalità, sia lui che il resto della sua famiglia vivono con il vuoto di ciò che resta dopo la morte di Stefania e Giulia, nella speranza di ottenere almeno una spiegazione di quell’atroce gesto.

Alessandro Maja, mentre i soccorsi stavano arrivando, coperto di sangue sul ballatoio di casa, aveva urlato “li ho uccisi tutti, bastardi”, e anche di questo la famiglia Pivetta chiede conto. Inizialmente si era pensato ad un collasso economico a cui l’uomo non riusciva a fare fronte, poi alla possibilità che Stefania volesse lasciarlo, come movente delle aggressioni, ma nessuna di queste ipotesi si è al momento rivelata plausibile. La sera prima dei delitti, Maja era andato dalla figlia minore e le aveva detto “scusa”, senza aggiungere altro, e lei ne aveva parlato al fratello. “Non so perché”, aveva detto Maja al suo avvocato qualche giorno dopo l’arresto. Una risposta però che a Nicolò non basta.

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