… E noi colitici/che siamo tutti un po’ psicosomatici/ sensibili ai problemi più drammatici… cantava Giorgio Gaber nel suo spettacolo “La marcia dei colitici”. Siamo nel 1973. Ma che voleva comunicare il grande Giorgio? Che allo stress, all’ansia, alla frustrazione, alla depressione, alla repressione delle emozioni, all’oppressione, allo sfruttamento e alla violenza, ognuno reagisce come può. C’è chi soffre, chi si dispera, chi si ribella e chi gli viene la colite, una patologia che da allora ne ha fatta di strada. E sì, perché la colite psicosomatica è diventata una delle protagoniste dei nostri tempi una patologia assai diffusa e trasversale, ammonisce il nostro esperto, Il dottor Fabio Sinabaldi, psicologo, psicoterapeuta esperto in psicosomatica e PNEI (Psiconeuroendocrinoimmunologia: Disciplina che studia le relazioni bidirezionali tra psiche e sistemi biologici), fondatore dell’Associazione Scienze Integrative, con sede a Milano e Londra.

Dottor Sinibaldi quante persone, in Italia, soffrono di colite psicosomatica?
I dati che ci arrivano dalla Società medica e dall’Istat dicono che ne soffre circa il 15% della popolazione, soprattutto le donne, e con un tasso più alto di prevalenza compreso fra i 20 e i 50 anni. A questi dati va aggiunto quel 30% di persone che presenta – senza saperlo – la colite subclinica e del colon irritabile, patologie in cui non si manifesta la classica sintomatologia: si parla di un terzo degli italiani. In più, per il 15-20% della popolazione del belpaese è la seconda causa di assenza dal lavoro, dopo l’influenza. Infine è al primo posto per richiesta di aiuto medico. Insomma, si tratta di un nemico subdolo, troppo spesso sottovalutato, visto che appena il 25% di chi ne soffre si rivolge a uno specialista.

Che cos’è la colite?
E’ un’infiammazione dell’intestino – in particolare il colon – che si può manifestare in tanti modi: frequenza di urinare, mal di schiena, flatulenza, spasmi, gonfiore addominale, alternanza fra diarrea e stipsi. A volte compare anche tensione emotiva, cambiamento di umore, mal di testa, sintomi che il paziente difficilmente mette in relazione con l’intestino.

Quali sono le cause?
Vale la pena sottolineare il collegamento fra lo stress, l’ansia, la depressione, lo stile di vita, gli stati emozionali negativi, il lutto, le separazioni, le difficoltà economiche e questo tipo di patologia. Tutti fattori – quelli appena citati – che possono causare l’alterazione del microbioma intestinale. Una volta si parlava di flora batterica intestinale, anche se sarebbe stato più corretto parlare di fauna perché si tratta di microbi e quindi di componenti viventi, microrganismi che hanno un ruolo fondamentale nella produzione di numerosi neurotrasmettitori centrali per il benessere mentale e dunque la colite psicosomatica è sia causa che conseguenza dello stress che, insieme alla rabbia, altera le funzioni dell’intestino, facendolo lavorare più del dovuto e portando alla produzione di batteri neurotrasmettitori negativi. Per la PNEI, l’intestino è definito il secondo cervello.

Può chiarire il concetto di secondo cervello?
Oltre a quello ‘alloggiato’ nella scatola cranica c’è anche quello enterico, vale a dire situato a livello intestinale. I ricercatori lo hanno chiamato secondo cervello ed è direttamente connesso al primo attraverso il nervo vago. Cervello e intestino presentano molteplici similitudini. Le connessioni sono talmente strette e reciproche che si può affermare, senza ombra di dubbi, che dentro di noi è in vita un asse cervello-pancia.

Come comunicano?
I due cervelli gestiscono un fitto dialogo: si tratta di relazioni in entrambe le direzioni e che vanno dal primo al secondo e viceversa. In parole povere, il primo cervello (quello cranico) è capace di alterare il normale funzionamento del secondo, interferire con i suoi ritmi e attraverso queste influenze disturbare la peristalsi, la produzione di acidi, enzimi, ormoni, ecc. Ma è esattamente vero anche il contrario. Anzi basandosi sull’anatomia, quello in pancia (enterico) sviluppa delle connessioni, in maggior misura, verso quello centrale. E allora? Allora, eventuali disordini intestinali possono produrre effetti negativi su quello centrale.

Come arrivare a una soluzione?
In primis, non fare come lo struzzo ignorando di leggere la realtà. E’ così imperativo consultare uno specialista, senza affidarsi a ricette fai da te. La regola aurea sta nel fare circolare dentro di sé il buonumore. Come riuscirci? Non è difficile. Alimentazione. Essenziale consultare uno specialista, non ci sono ricette valide per tutti. Rielaborare. Concedersi la possibilità di rielaborare le grandi sofferenze emotive come il lutto, le separazioni, le difficoltà economiche. Movimento. Praticare, tutti i giorni, un esercizio moderato: può bastare una camminata a passo lesto – meglio nel verde – che incrementa il livello energetico e migliora l’umore. Agenda e orologio. Serve a tenere sotto controllo gli alti e bassi dei propri livelli energetici. Così si riesce a verificare il proprio orologio interno: alla fine si inseriranno gli impegni più onerosi quando l’energia è alta, invece quando ci sono cali meglio una passeggiata. Prendersi delle pause. Evitare turni di lavoro sfiancanti, cercando di staccare ogni tanto, con brevi pause. Osservarsi. Verificare l’effetto che hanno le attività di ogni giorno sull’umore. Ascoltare la musica. Innalza l’energia e abbassa la tensione. Convivialità. Non ruminare sugli aspetti negativi della propria vita. Oltre allo psicoterapeuta, va bene frequentare le persone a noi più vicine parlando, senza vergognarsi, delle nostre difficoltà. Meditazione. La meditazione innesca una zona del cervello sinistro (corteccia prefrontale) che infonde sensazioni di felicità, gioia, entusiasmo, voglia di vivere, energia. Sorridere. Sorridere con gli occhi e con la bocca dà al cervello una iniezione di fiducia e buonumore. interni.

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