“L’attuale tasso di utilizzazione di munizioni da parte dell’Ucraina è molte volte superiore al nostro livello di produzione. Questo mette a dura prova le nostre industrie della difesa”, ha detto Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato. Dopo un anno di combattimenti la guerra sta diventando anche una questione aritmetica. Ogni giorno russi e ucraini arrivano a spararsi 30mila colpi di artiglieria a cui si aggiungono proiettili, mine di terra, bombe a mano e altre munizioni. Le riserve di munizioni si stanno assottigliando da entrambe le parti sebbene sia più difficile conoscere le reali condizioni degli approvvigionamenti russi. Sinora l’Ucraina ha ricevuto armamenti e munizioni per un valore di oltre 29 miliardi di dollari solo dagli Stati Uniti (il valore delle forniture italiane supera il miliardo di euro). Ora però c’è un problema di produzione e c’è un problema di dotazioni. Diversi stati occidentali hanno spiegato di non essere più in grado di fornire carri e altri armamenti a Kiev perché altrimenti rimarrebbero senza. I carri armati Leopard tanto invocati da Kiev arriveranno ma non prima di aprile e in quantità più esigua di quanto auspicato. La Danimarca ha dato all’Ucraina tutti i suoi obici Caesar. L’Estonia ha fornito tutti i cannoni da 155 mm di cui disponeva. “La situazione (in vista di una possibile nuova offensiva russa) è preoccupante”, ha ammesso la ministra della Difesa olandese Kajsa Ollongren. Giovedì l premier britannico Rishi Sunak e il presidente polacco Andrzej Duda, hanno invitato gli alleati ad “accelerare” nell’invio di aiuti militari a Kiev fin “dalle prossime settimane”, in termini sia di nuove armi per contrastare la Russia sia di programmi di “addestramento di piloti ucraini all’uso di jet da combattimento di standard Nato”.

I comandi militari si trovano davanti ad uno scenario non del tutto previsto che rimanda alle terribili guerre di trincea della prima guerra mondiale quando milioni di soldati hanno passato anni in buche scavate nel terreno combattendo per conquistare pochi metri di terreno che poi venivano ripersi poco dopo al costo di incalcolabili perdite umane. Una situazione che comporta un grande dispendio di munizioni, ben superiore a quello di altri tipi di conflitto. Ora come allora entrambi gli schieramenti sembrano impossibilitati a raggiungere gli obiettivi che si sono posti con mezzi impreparati e i combattimenti potrebbero durare anni.

Intervistato dal Financial Times il generale statunitense Mark Milley ha affermato che il ritorno delle tattiche di guerra di terra del XX secolo sta costringendo a riconsiderare le ipotesi fatte negli ultimi decenni che avevano indotto gli strateghi militari a riorganizzare le loro capacità focalizzandole su tipi di combattimenti irregolari e guerriglia come avvenuto in Iraq o in Afghanistan. “Una delle lezioni di questa guerra è l’altissimo tasso di consumo di munizioni convenzionali, e stiamo quindi riesaminando le nostre scorte e i nostri piani”, ha detto Milley. Quindi non solo servono più armi in Ucraina ma tutti gli eserciti del mondo iniziano a prendere in considerare la necessità di riempire i magazzini. In questa sfida, letteralmente all’ultimo colpo, è difficile dire chi si trovi in posizione di minor svantaggio.

Le industrie di armi europee e statunitensi stanno accelerando la produzione (e i profitti) così come quelle russe (e iraniane o nord coreane). I tempi però sono lunghi, per munizioni di grossi calibro i tempi di consegna sono passati da 12 a 28 mesi. Il Pentagono ha varato un piano per sestuplicare la produzione di proiettili di artiglieri ma non prima di due anni. Più rapido dovrebbe essere l’incremento della manifattura di proiettili di artiglieria da 155 mm che dovrebbe salire da 14mila a 20mila al mese (ma, ricordiamo, in un solo giorno l’esercito ucraino arriva a spararne 5mila). Francia e Australia fanno lo stesso. L’Ucraina sta consumando le sue munizioni meno rapidamente della Russia poiché gli ordigni occidentali sono più sofisticati e precisi. E, ricorda l’agenzia Bloomberg, Kiev può contare su fabbriche in Europa, Stati Uniti e Canada.

La tedesca Rheinmetall sta avviando una nuova linea di produzione vicino ad Amburgo per produrre munizioni per i cannoni antiaerei forniti a Kiev. Inoltre inizierà a costruire anche munizioni per i mezzi corazzati antiaereo Gepard, di cui Berlino sta completando la consegna di 37 esemplari. Verrà così superata la dipendenza dalla produzione proveniente dalla Svizzera, che ha più volte bloccato l’export in nome della propria neutralità. Sebbene le potenzialità siano maggiori nel lungo termine, nell’immediato le industrie occidentali sembrano essere state meno reattive di quelle russe. Secondo alcuni analisti il boom di produzione di armi è uno dei fattori che sta sostenendo l’economia russa, la cui frenata nel 2022 è stata molto al di sotto delle stime iniziali. Gli impianti non si fermano mai, non lo hanno fatto neppure a Natale e a capodanno. Il Centro per l’analisi della strategia e della tecnologia di Mosca stima che la produzione di jet militari sia sensibilmente aumentata della metà lo scorso anno, sebbene rimanga ancora sotto ai livelli del 2014. Uraltransmash, che produce obici semoventi, ha annunciato nuove assunzioni. Uralvagonzavod, il principale produttore di carri armati russi, afferma che le sue fabbriche non chiudono mai, si produce giorno e notte, come ai tempi dell’assedio di Stalingrado, tra il 1942 e il 1943.

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