La decisione dello staff di Zelensky di derubricare l’intervento a Sanremo a semplice lettera testimonia l’attenzione con cui i terminali in Italia del governo di Kyiv seguono il polso dell’opinione pubblica nostrana.

La stragrande maggioranza dei telespettatori non voleva un’apparizione in tv del presidente ucraino. Come mai? La risposta è che gli italiani non vogliono essere ammaestrati ad applaudire alla guerra.

Di fatto l’affare Zelensky-Sanremo si è trasformato simbolicamente in un referendum e il responso è stato schiacciante: pollice verso nei confronti della retorica dell’escalation. Il fiuto popolare, da tempo, ha capito perfettamente che Hitler, la Seconda guerra mondiale, la Resistenza non c’entrano niente con la guerra in corso. Che è una guerra fra stati, con la Russia certamente responsabile dell’aggressione ma l’Ucraina sicuramente non nella parte di Davide con la fionda, perché da otto anni armata, addestrata, inserita in manovre Nato. Il senso di popolo ha anche compreso che la guerra non è nemmeno russo-ucraina, ma è ormai una “guerra ibrida” tra la Russia e la Nato (secondo la lucida definizione del politologo americano Ian Bremmer).

Dunque tra il presidente Zelensky e papa Francesco, che sostiene bisogna “fermarsi in tempo… (perché) il mondo è in autodistruzione”, l’opinione pubblica sceglie Francesco e a Sanremo – se si voleva una riflessione sulla drammaticità del momento – avrebbe visto volentieri un intervento del fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, o del vescovo Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana.

Se si scende a livello di strada, è interessante notare che molti uomini e donne senza particolare affiliazione politica, quando parlano spontaneamente, esprimono netta antipatia per Putin e allo stesso tempo diffidenza per i discorsi di Zelensky. I sostenitori della linea ufficiale – a favore dell’opzione militare costi quel che costi – quando non sanno cosa controbattere parlano di un’opinione pubblica “allo sbando” oppure etichettano i dissenzienti da succubi di Putin oppure cinici o ingenui. Invece la vox populi sa ben distinguere.

Nella prima fase della guerra è stata convintamente a favore dell’invio di armi all’Ucraina e di ogni tipo di aiuto finanziario, materiale e umanitario: si trattava di fermare l’invasione di Putin e di impedirgli di catturare Zelensky, facendo collassare lo stato. Questa battaglia – l’opinione pubblica lo intuisce – è persa per Putin. La Russia non potrà mai impadronirsi dell’Ucraina e anzi è stata anche ricacciata da territori che aveva occupato.

In questa seconda fase si presentano al contrario numerosi interrogativi. Perché raccontare che incrementare sempre più le armi da inviare a Kyiv serve a difendere l’Europa? Putin non ha mai avuto l’intenzione di attaccare gli stati baltici o la Polonia. L’Ucraina non rappresenta le Termopili d’Europa.

La partita in gioco – la mente popolare lo capisce perfettamente – è uno scontro fra blocchi politico-militari per interessi geopolitici. Di fronte al crescente numero di morti e distruzioni, di fronte al rischio di un’escalation nucleare è razionale fermare le armi, arrivare ad un cessate il fuoco e iniziare ad affrontare nella trattativa i problemi sul tappeto. Non è gridando “gloria agli eroi!”, come si è sentito levarsi giovedì dai banchi del parlamento europeo in un delirio guerresco appena Zelensky ha iniziato a parlare, che si risolvono le gravi questioni sul tappeto.

La proposta di un cessate il fuoco, che testardamente Francesco rivolge da mesi alle parti in guerra e alla comunità internazionale, è ciò che la maggioranza degli italiani condivide. Stanca del ripetersi di battute del tipo “Se Putin si ferma, è la fine della guerra. Se l’Ucraina si ferma, è la fine dell’Ucraina”. E’ una stupidaggine. In tutte le guerra scoppiate dal 1945 ad oggi, la fine del conflitto è arrivata perché razionalmente le parti si sono messe ad un tavolo.

Quando Zelensky al parlamento britannico proclama che bisogna combattere il “male”, quando afferma che la “vittoria cambierà il mondo”…. quando un falco come il premier polacco Mateusz Morawiecki proclama che “con i terroristi non si tratta e la Russia è diventata uno stato terrorista”, quando afferma che la “condizione per riportare la Russia negli stati civili” è lo smantellamento del suo sistema autocratico, l’opinione pubblica italiana avverte istintivamente che il conflitto è scivolato in una dimensione metafisica, ideologica, drogata dall’ossessione della mitica vittoria finale che metta in ginocchio il nemico…

C’è un “fronte dell’odio” in Europa, costituito dagli stati baltici e dalla Polonia, che vorrebbe la Russia a terra e frantumata. Gli storici possono ricostruire le radici del tutto comprensibili di questo sentimento, ma non è con l’odio che si governano gli equilibri internazionali.

Cè una Gran Bretagna, frustrata per il crollo seguito all’autolesionistica uscita dall’Unione europea, che cerca di darsi baldanza indossando il mantello (troppo largo) di Winston Churchill, ma non è con i travestimenti e le frustrazioni che si riporta stabilità al pianeta.

Gli italiani di fronte alla pace e alla guerra non sono stupidi. Sentono che stanno partecipando a pieno titolo al conflitto (pur non combattendo le forze armate atlantiche sul terreno ucraino) a causa del pesante impegno finanziario e di armamenti e quindi hanno il diritto di partecipare alla definizione degli obiettivi della guerra e di far valere l’interesse mondiale di un ritorno alla pace.

Per cui, quando Zelensky nel suo piano di pace scandisce che tocca solo agli ucraini decidere “quando e come negoziare”, la maggioranza degli italiani non è d’accordo. Sono molto più in sintonia, invece, con l’allarme lanciato in questi giorni davanti all’assemblea delle Nazioni Unite dal segretario generale Antonio Guterres: diminuiscono le prospettive di pace, aumenta il rischio di una continua escalation e intanto “il mondo non è soltanto sonnambulo in una guerra più ampia, ma lo sta facendo con gli occhi ben aperti”. In altre parole corre verso la catastrofe.

No, non sono solo canzonette. Sul video di Zelensky rifiutato si è giocata intorno al palcoscenico nazional-popolare di Sanremo una vera partita politica di opinione.

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