Come una bomba a orologeria. Così, dopo il terremoto di magnitudo 7.8, avvenuto tra Turchia e Siria nella notte tra il 5 e il 6 febbraio e che ha spostato l’Anatolia di alcuni metri, ci si immagina quello che sta avvenendo nel sottosuolo e quello che potrebbe succedere ancora. Domani, fra due anni o tra un secolo, non si sa. Perché sotto la Turchia c’è una delle zone sismiche più attive al mondo, c’è il punto di congiunzione di tre placche, quella eurasiatica (al Nord), quella anatolica su cui si trova quasi tutto il Paese e quella araba, più a Sud. E in queste ore si parla di un ‘big one’, ossia un terremoto devastante come quello che si aspetta in California e su cui si sono scritte decine di sceneggiature cinematografiche. È così? Davvero il sottosuolo della Turchia è una bomba a orologeria? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto ad Andrea Tertuliani, sismologo dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia (Ingv).

Ma cos’è esattamente un ‘big one’?
Per ‘big one’ si intende terremoto di massima potenza atteso in una certa area ed è riferibile, in genere, a quello che conosciamo. Per la California il ‘big one’ sarebbe la ripetizione del terremoto di San Francisco del 1906. Dunque non si tratta dell’apocalisse totale che si vede nei film. Il concetto è questo: se un terremoto così grande già c’è stato, non c’è motivo di ritenere che non possa ripetersi. Tutt’altro è capire quando.

Di che proporzioni sarebbe un eventuale ‘big one’ in Turchia?
Potrebbe essere simile a quello a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi, anche se dipende dalla zona in cui eventualmente si verificherebbe, perché in quell’area geografica ci sono zone sismicamente diverse. L’epicentro del terremoto che ha colpito il Sud-Est del Paese, oltre che la Siria, è vicino al punto in cui congiungono le tre grandi placche che scorrono costantemente e lentamente una vicina all’altra (quella anatolica si muove di due centimetri l’anno, ndr). Questo movimento, nel tempo, ha formato due faglie importanti, quella settentrionale, al confine tra la placca anatolica e quella euroasiatica e quella dell’Anatolia orientale, al confine tra la placca anatolica e la placca araba. Queste faglie separano segmenti di placche, formando una specie di y. Ma non dobbiamo immaginare una faglia come un’unica frattura, perché in realtà si tratta di centinaia di faglie che formano quello che tecnicamente viene definito ‘un sistema’. Ogni faglia ha un suo comportamento dinamico. Sismologicamente la zona dell’Anatolia Orientale colpita dal terremoto è diversa rispetto a quella di Istanbul e, in genere, alla parte settentrionale. Per questo un ‘big one’ a Nord potrebbe avere conseguenze molto diverse rispetto a quelle di un terremoto con epicentro vicino alla faglia dell’Anatolia orientale.

C’è molta preoccupazione, infatti, per la faglia anatolica settentrionale che arriva fino al mare Egeo dopo aver attraversato circa 1.500 chilometri, correndo anche a circa 20 chilometri a sud di Istanbul. È quella l’origine di un possibile ‘big one’? È già nel destino della Turchia?
Al di là della considerazione sulla faglia a Sud di Istanbul, in zone dove le faglie sono molto grandi, come è nel caso della Turchia, nel tempo si accumula tantissima energia che a un certo punto viene liberata per una serie di ragioni. Più è grande la porzione di crosta coinvolta, ossia la parte ‘sismogenetica’, più si libera energia e più aumenta la potenza del sisma. Non ci sono fattori che indicano un rischio imminente, ma con faglie di queste dimensioni e così tanta energia in gioco, da qui all’eternità è probabile che si registri una sorta di ‘big one’, ma non siamo in grado di dire se ci sarà da qui a un tempo che possiamo prevedere. E questo vale per tutte le aree sismiche del mondo, non solo per la Turchia. Possiamo invece dire che le scosse, nell’area del terremoto avvenuto pochi giorni fa, potrebbero durare anche per anni, andando man mano a essere meno forti e frequenti.

Ma la pericolosità di un terremoto non si misura solo in termini di magnitudo. La Turchia lo ha imparato a sue spese. Per esempio, con il terremoto del 1938, quando l’epicentro fu a Erzincan, nel Nord-Est e si contarono quasi 33mila morti e con quello del 17 agosto 1999, a Izmit, che causò la morte di 17mila persone, di cui mille solo a Istanbul.
Un terremoto è ciò che procura. Al di là degli aspetti scientifici, gli effetti, le vittime, i danni. Soprattutto in aree che non sono pronte. C’è da dire che la Turchia, dopo il terremoto del 1999, ha cercato di aggiornarsi dal punto di vista della normativa, accelerando sulla prevenzione. Evidentemente, però, risorse e tempi non sono bastati, neppure a mettere in sicurezza edifici costruiti molto prima che entrassero in vigore le nuove leggi. Lo dimostra la devastazione che il sisma ha causato.

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