Riempiono tribunali e carceri per la cannabis, ma sono pronti alla guerra contro l’informazione ai consumatori sui danni dell’alcol. Ecco come nuocere gravemente al buonsenso. Anche perché spesso sono proprio gli stessi: sovranisti alimentari, nazionalisti della damigiana, ferventi proibizionisti in adorazione annuale al Vinitaly. E nemici dei fatti.

Perché i fatti sono semplici e chiari:
– i prodotti alcolici sono gli unici prodotti alimentari dei quali il consumatore non può ad oggi conoscere il contenuto;
– l’alcol è una sostanza dannosa e cancerogena: lo è meno in piccole quantità, lo è di più in grandi quantità, ovviamente;
– la cannabis, paragonata all’alcol, è sostanza molto meno pericolosa in base a qualsiasi parametro di tossicità, a partire dalla letalità per arrivare alla dipendenza, passando per i rischi di cancro.

Quando un prodotto è così radicato nella cultura di un Paese, come lo è il vino, è giusto agire con cautela. Le avvertenze al consumatore sull’etichetta vanno espresse con ragionevolezza, senza ricorrere a foto spaventevoli e disgustose. Ma l’informazione rigorosa sul contenuto e sui rischi, quella sì: servirebbe eccome, e invece non c’è per nulla. Chi si scandalizza per gli obblighi sull’etichetta va subito sottoposto alla prova della cannabis, che non è l’analisi del capello, ma l’analisi delle proposizioni: essere libertari con la bottiglia ma liberticidi con la pianticina significa disprezzare la realtà, o la logica, o entrambe le cose.

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