Non solo il 41-bis, il cosiddetto carcere impermeabile inventato per azzerare i contatti dei boss mafiosi o dei terroristi più pericolosi con l’esterno. C’erano pure altri modi per evitare che Alfredo Cospito inviasse messaggi ai suoi compagni, incitandoli alla lotta violenta. “Chi ha esperienza di gestione penitenziaria sa che un detenuto pericoloso può essere monitorato legittimamente utilizzando altri strumenti presenti nell’ordinamento”, spiega a ilfattoquotidiano.it Sebastiano Ardita, magistrato molto esperto nell’amministrazione penitenziaria. Il 4 maggio scorso, però, l’allora guardasigilli Marta Cartabia decise comunque di applicare all’anarchico il 41-bis, come richiesto dalle procure competenti. Lanciando, però, un boomerang, visto che in questo modo il governo ha creato le condizioni per far partire la protesta di Cospito. E trasformando il caso in quello che Ardita definisce un “cavallo di troia” per l’abbattimento del carcere duro. “Il precedente governo ha ritenuto di issare il vessillo del 41-bis. La questione è che adesso il vessillo dovrebbe abbassarlo l’attuale governo, facendo una sorta di marcia indietro. Ecco da dove giunge la difficoltà: il 41-bis è un regime facile da applicare ma difficilissimo da togliere“, prosegue il magistrato, che sta per tornare nel suo ufficio da procuratore aggiunto di Catania, dopo l’esperienza al Consiglio superiore della magistratura.

Dottore Ardita, lei per dieci anni ha guidato l’Ufficio Centrale Detenuti e Trattamento del Dipartimento amministrazione penitenziaria. Che idea si è fatto del caso Cospito?
Penso che si tratti di una delle peggiori grane degli ultimi anni. Perché – con letture spesso errate dei fatti e delle leggi – si stanno banalizzando questioni complesse in un clima di scontro politico. Tutto ciò senza comprendere che questo potrebbe essere un cavallo di Troia attraverso il quale far passare l’abbattimento del 41-bis. E cioè la principale richiesta che stava nel papello di Totò Riina.

Sul 41-bis si è creato una sorta di caos informativo: sta passando il messaggio che ci finiscono tutti i mafiosi reclusi, e solo i mafiosi.
Non è così. Il 41-bis serve ad impedire ai capi delle organizzazioni mafiose o terroristiche di continuare a organizzare o gestire dal carcere le attività criminali. Ed è una misura la cui adozione è riservata alla persona del Ministro della Giustizia, a riprova della sua valenza simbolica di politica criminale.

Nel maggio scorso l’allora ministra Cartabia ha spiegato che il 41-bis a Cospito è stato dato perché l’anarchico inviava “numerosi messaggi” ai “compagni anarchici”, “invitati esplicitamente a continuare la lotta con mezzi violenti”. Ma era necessario il 41-bis? Non sarebbe bastato il regime di Alta sicurezza con censura della posta?
Chi ha esperienza di gestione penitenziaria sa che un detenuto pericoloso può essere monitorato legittimamente utilizzando altri strumenti presenti nell’ordinamento penitenziario: dal visto di censura, alla allocazione logistica, dalla vigilanza specializzata alla videoregistrazione dei colloqui e degli ambienti per i detenuti ad alta sicurezza. Detto questo il precedente governo ha ritenuto di issare il vessillo del 41-bis facendo, come detto, una scelta di politica criminale. La questione è che adesso il vessillo dovrebbe abbassarlo l’attuale governo, facendo una sorta di marcia indietro. Ecco da dove giunge la difficoltà. Il 41-bis è un regime facile da applicare ma difficilissimo da togliere.

L’anarchico è in sciopero della fame da più di cento giorni. Ora è stato trasferito a Opera: è possibile curarlo sempre all’interno del regime di carcere duro?
Le regole del 41-bis non possono né devono incidere sui profili sanitari.

Da quello che sta emergendo nella vicenda Cospito sembra ci sia una sorta di unione d’intenti tra le organizzazioni mafiose e gli anarchici contro il 41-bis. Lei come la pensa? Esiste questo tipo di saldatura d’interessi?
Esiste una modalità di crimine organizzato che si dice mafioso, proprio perché alla continua ricerca di supporti, alleanze e coperture in tutti i settori. Nel potere politico, in quello giudiziario e finanziario e quando possibile anche nei media e nella pubblica opinione. Non possiamo stupirci di una alleanza con organizzazioni eversive su una materia come il 41-bis che rappresenta uno dei problemi principali della mafia.

Cospito dice di volere lottare contro il 41-bis per tutti, non solo il regime al quale è sottoposto lui. E di questo discute anche con alcuni mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti in carcere. Il deputato Donzelli di Fdi dice che l’anarchico è diventato una sorta di influencer delle mafie contro il 41-bis. Lei è d’accordo? Il rischio è davvero questo?
Alla fine sta accadendo proprio questo, a causa della sua non appartenenza alla categoria criminale mafiosa alla quale è dedicato in massima parte questo regime.

Il governo non intende fare passi indietro sul 41-bis a Cospito. Lei è d’accordo?
Si tratta di una scelta politica, ho spiegato perché è difficile pronosticare che verrà fatto un passo indietro.

Cancellare il 41-bis a Cospito rischierebbe di passare il messaggio che basta uno sciopero della fame, o le bombe nelle ambasciate, per cancellare il carcere duro. Allora da una situazione simile come se ne esce?
Si tratta di un’altro aspetto che tende a stabilizzare l’utilizzo piuttosto insolito dello strumento.

L’abolizione del 41-bis era contenuta nel cosiddetto papello di Totò Riina. Le mafie non hanno mai cessato di lavorare per quest’obiettivo?
Non hanno mai cessato e mai cesseranno di contrastare uno strumento che impedisce loro di rivitalizzarsi con la linfa nera che proveniente dai loro capi, impediti nelle comunicazioni con l’esterno.

Ora che anche l’ultimo boss stragista, cioè Matteo Messina Denaro, è finito in galera, c’è il rischio che si possa mettere mano alle leggi varate all’epoca dell’emergenza stragi?
C’è sempre questo pericolo e per comprenderlo basta leggere la storia di Cosa nostra. È li che stanno già tutte le risposte sulle possibili conseguenze di un abbassamento della guardia dello Stato. Ma per un Paese con poca memoria è un ragionamento troppo faticoso da fare.

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