L’affluenza alle urne al ballottaggio delle elezioni parlamentari in Tunisia del 29 gennaio è stata dell’11,3%, pari a 887.638 votanti su oltre 7,8 milioni di elettori registrati. Un dato quasi identico a quello del primo turno: lo scorso 17 dicembre andò a votare solo l’11,22% degli aventi diritto, mai così pochi dalla rivoluzione del 2011. Il nuovo flop è una débacle per il presidente Kais Saied, che aveva minimizzato la massiccia astensione dicendosi ottimista per la seconda tornata. Molti osservatori però hanno messo in dubbio i dati ufficiali sull’affluenza alle urne: l’associazione Mourakiboun, un importante ente tunisino che si occupa di processi democratici, ha infatti denunciato “la mancanza di trasparenza e l’assenza di informazioni in diversi seggi il giorno delle votazioni”, definita “un pericoloso precedente capace di minare la fiducia nel processo elettorale”. Il presidente dell’Alta Autorità indipendente per le elezioni (Isie), Farouk Bouasker, ha però respinto le accuse degli osservatori spiegando che l’Autorità è “pronta a rispettare la giustizia penale e amministrativa” e annunciando che “i verbali dei seggi elettorali saranno messi a disposizione del tribunale amministrativo per tutto il periodo di ricorso”, ricordando infine che “le accuse di frode e brogli mosse contro l’Isie senza alcuna prova sono perseguibili penalmente”. Il portavoce dell’Isie, Mohamed Tlili Mansri, ha poi spiegato ai media locali che i “ricorsi potranno essere presentati al tribunale amministrativo” da martedì 31 gennaio, mentre i “risultati finali sulla formazione del Parlamento saranno annunciati il 4 marzo”.

Se la scarsissima affluenza è importante per spiegare lo scetticismo del popolo tunisino verso il progetto di Saied, è altrettanto importante sottolineare che a votare meno sono state le donne e giovani. Infatti, solo il 4,84% dei voti totali appartiene a cittadini under 25 (meno di novemila), e solo il 32,36% dei voti appartiene al genere femminile, a dimostrazione della loro emarginazione politica e sociale. Con la nuova legge elettorale approvata nel settembre 2022, peraltro, Saied aveva ridimensionato il ruolo delle donne e dei giovani anche nell’elettorato passivo, rimuovendo le quote di candidature a loro riservate. La presidente dell’associazione Centro mediterraneo tunisino (Tu-Med), Ahlem Nsiri, ha osservato che l’affluenza alle urne tra le donne nelle zone rurali e di confine è stata “troppo bassa”. Il centro, che ha schierato 153 osservatori in dieci governatorati del paese, ha inoltre segnalato una “serie di violazioni del silenzio elettorale” e, addirittura, il “trasporto collettivo di donne” verso la sede dei seggi.

All’indomani delle elezioni, il Fronte di salvezza nazionale (Fsn), la principale coalizione di opposizione politica tunisina, ha sollecitato un fronte unito contro il presidente Saied, affermando che la bassa affluenza alle urne ha messo in luce “il totale fallimento” del progetto del capo dello Stato, e spiegando che non riconoscerà il nuovo Parlamento. “Quasi il 90% degli elettori tunisini ha ignorato questo spettacolo teatrale e si è rifiutato di essere coinvolto nel processo”, ha detto ai giornalisti il leader dell’Fsn Ahmed Nejib Chebbi. “Chiedo ai gruppi politici e alla società civile di unirsi per lavorare per il cambiamento, con l’allontanamento di Kais Saied e l’indizione di elezioni presidenziali anticipate”, ha aggiunto. Già il 26 gennaio, tre giorni prima del ballottaggio, oltre quaranta gruppi e partiti di opposizione tunisini, su iniziativa dell’Ugtt (il più grande sindacato del paese), hanno firmato una dichiarazione che chiede la fine del sistema di governo autoritario di Saied, per “salvare” il paese da quella che viene definita “una catastrofe“. “L’iniziativa mira a difendere lo Stato di diritto, garantendo l’alternanza pacifica del potere, preservando il ruolo delle organizzazioni della società civile e dei partiti politici nella vita pubblica e rispettando la collettività e l’individuo libertà”, si legge nel testo.

Ma forse l’impegno che interessa di più ai tunisini, tra quelli contenuti della dichiarazione, è la “difesa dei diritti sociali ed economici” dei cittadini, in un paese in grave difficoltà finanziaria e sempre più prossimo al default. “Non vogliamo le elezioni. Vogliamo latte, zucchero e olio”, ha detto alla Reuters un’abitnte di Ettadhamen-Mnihla, alla periferia Tunisi. Il 27 gennaio l’agenzia di rating Moody’s ha declassato il debito tunisino da “Caa1” a “Caa2”, con outlook negativo, affermando che il Paese sarebbe probabilmente insolvente sui prestiti sovrani. Lo Stato, a corto di liquidità, sta lottando contro un debito pari a circa l’80% del suo prodotto interno lordo. Per cercare di risollevare la Tunisia dalla dilagante crisi economica, Saied ha accettato le misure di austerità dettate dal Fondo monetario internazionale (Fmi) per ottenere un prestito da 1,9 miliardi di dollari e finanziare così il bilancio del 2023. Youssef Cherif, direttore dei Columbia Global Centers di Tunisi, ha però spiegato che i colloqui con l’organizzazione internazionale sono inciampati a causa delle preoccupazioni degli Stati Uniti per il futuro della democrazia tunisina e dell’apparente riluttanza di Saied ad “accettare i diktat del Fmi” su questioni politicamente delicate, inclusa la riforma dei sussidi. Uno degli effetti più immediati dell’aggravarsi della situazione socio-economica potrebbe essere un aumento degli arrivi via mare verso l’Italia: si stima infatti che circa quattro milioni di tunisini (un terzo della popolazione) vivano al di sotto della soglia di povertà, e che più di 32mila tunisini abbiano cercato, in modi irregolari, di raggiungere l’Europa nel 2022.

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