Nostalgia della guerra, dei tempi e dei luoghi delle appartenenze nette, radicali. Passione retrospettiva per gli anni 70, invidia per i giovani ucraini. Incastonato e amalgamato nella rappresentazione teatrale di Antigone, regista Gabriele Vacis, il monologo provocatorio dell’attore Lorenzo Tombesi, classe 1999, ha colpito straordinariamente il pubblico torinese. E ora sta cominciando a circolare nei social.

Nella preparazione anche psicologica allo spettacolo Vacis aveva chiesto ai giovani attori di rispondere ad alcune domande ispirate dalla tragedia di Sofocle. Tra le quali quella sui valori o i motivi per cui scegliere di sacrificare la vita, o di salvarla a tutti i costi. Lorenzo racconta di aver meditato ed esitato a lungo su questa domanda, e di aver poi avuto l’ispirazione e scritto di getto la risposta. Di fronte a questa sorta di “To be or not to be”, di lamento anche autocritico di una generazione il regista ha deciso di inserire il monologo nella rappresentazione.

“Non so quanti giovani della mia età siano affascinati come me dalle dinamiche culturali degli anni 70. Ma per quanto riguarda il disorientamento che esprimo nel mio discorso ho ricevuto molti segnali di condivisione”, dice Lorenzo. Sul palco pronuncia le parole del monologo con commozione e umiltà, parole che vi propongo di seguito.

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Ho nostalgia della guerra.
Quando mi raccontano gli anni 70, le bombe, qualcosa mi si accende dentro, come una sfumatura di passione. Sì, poi uno più o meno studia e gli si forma addosso il buon senso, e certe cose allora evita di dirle ad alta voce.

“Te non stai bene” mi direbbe mio padre, e ha ragione. Sia l’una cosa, morire, che l’altra, cioè vivere, richiedono una scelta. In tanti casi poi le due opzioni si somigliano. Io non ho il coraggio di fare una scelta. E quindi cambio idea, continuamente. Non ho una fede. Non ho una causa per cui lottare, perché ne ho troppe: i diritti civili, l’ambiente, il diritto all’aborto, l’eutanasia… Non ho la forza di tirare gomitate e farmi spazio tra gli altri, non ho la forza e non ho voglia di correre e correre e arrivato al traguardo col cuore che scoppia, dimostrare che ce l’ho fatta! ma a fare che cosa?

Il piccolo motore interno che ho, che più che passione dev’essere istinto di conservazione o anche ricerca del piacere, mi ha portato lontano da casa ma per fare un mestiere che non credo valga più di un altro. E invece sento che per onestà verso la categoria o perché semplicemente mi va di farlo bene, dovrei crederci fino in fondo, ma non ci riesco: quanto c’è di me dentro questa scelta? Quanto è stata ribellione verso la “normalità”? Quanto è stato talento? Forse oggi recito, ma domani? E questo mi fa rabbia! Perché significa che niente è insostituibile, che niente è indispensabile… necessario.

Anzi che tutto è inconsistente, è troppo comodo, è fiacco, è opaco, sicuro, vecchio, tutto è uguale a tutto!

Non ho il coraggio della solitudine: non riuscirei a fare l’eremita e neppure a lavorare in un ufficio pieno di gente quindi mi sono trovato una via di mezzo. Non ho il coraggio di dimenticare l’idea della “sicurezza economica”, che pure rispetto ad altri considero meno perché ho intrapreso una strada molto incerta, e in effetti mi pesa il timore di non riuscire a raggiungere una stabilità. Non ho il coraggio di credere in Dio, in Allah, in Zeus, perché chi dovrebbe raccontarmi certe storie non ne è più capace.

Sono davvero invidioso dei giovani ucraini… gli è capitata la guerra e non hanno altra scelta che prendere in mano il fucile – ho voglia di guardare mia madre dall’alto disperarsi a causa mia, ma non per una multa per eccesso di velocità! Ho invidia di quelli che dall’Africa partono e non sanno dove vanno! Dico queste cose e allo stesso tempo mi accuso – mea culpa mea culpa mea culpa ma come faccio a non subire il fascino di chi sceglie di morire? Non voglio più avere tutte queste reti, tutte queste possibilità, tutte queste alternative! Come faccio a scegliere se c’è tutta questa scelta?
Mio zio era un tossicodipendente, uno come me in una strada come quella non ci finisce neppure per sbaglio…

Non ho il coraggio di litigare con qualcuno, figurati fare a pugni o infilarmi una siringa in un braccio. Forse un tempo c’era la rabbia, a me è stato lasciato quello che viene dopo: la stanchezza.

Sei un viziato, non sai quello che dici… Oppure mia madre che da quando sono nato continua a ripetermi: pensa ai bambini che muoiono di fame… C’è qualcosa per cui saresti disposto a morire? Per cosa vale la pena vivere? Non ho niente da rispondere… e mi vergogno anche per avere pensato le cose che vi ho detto, e soprattutto mi vergogno di averle dette.

“Ho Nostalgia Della Guerra” from davide demichelis on Vimeo.

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