Il teatro come sciroppo per la tosse. È l’originale iniziativa lanciata da Ater Emilia Romagna, il circuito dei teatri sotto l’egida della Regione, per portare sempre più bambini davanti a un sipario e intrattenerli con storie fantastiche sul palcoscenico. I bambini e le bambine dai 3 agli 8 anni, assieme ai loro accompagnatori, avranno l’opportunità di andare a teatro con un voucher fornito da pediatri e farmacisti, per soli due euro a spettacolo. L’obiettivo è quello di creare “un’alleanza di sistema capace di generare cambiamenti significativi sul piano della salute e del benessere delle famiglie”. In altre parole, dall’esperienza con il teatro si spera che i bambini possano ricavare benefici concreti per il loro stato di salute.

In merito a questo tipo di iniziative, senz’altro da elogiare per le buone intenzioni, possiamo individuare elementi concreti sul ruolo positivo che possono avere nello sviluppo cognitivo ed emotivo dei bambini?
“Un fattore positivo è senz’altro quello di riportare le famiglie fuori dalle mura domestiche dopo lunghi periodi trascorsi in casa a causa del Covid-19, il che dal punto di vista cognitivo rappresenta un ampiamento degli orizzonti e degli interessi intellettuali”, ci spiega la dottoressa Anna Oliverio Ferraris, scrittrice, psicoterapeuta, già docente di psicologia dello sviluppo, università La Sapienza di Roma. “Dal punto di vista sociale è utile che i bambini, spesso figli unici, si ritrovino tra altri bambini in un contesto di divertimento, diverso da quello domestico e anche da quello scolastico. Osservano le reazioni degli altri, ascoltano i loro commenti e spesso interagiscono superando le timidezze”.

Dottoressa Ferraris, parlare di teatro e non di contenuti rischia di diventare un discorso astratto. Quali tipi di storie, e in che misura, possono generare emozioni positive nei bambini?
“Bisogna soprattutto tener conto dell’età del pubblico, un bambino di tre-quattro anni ha gusti, esigenze emotive, modalità di approccio e di comprensione del mondo, nonché un senso dell’umorismo, molto diversi da quelli di un bambino di sette-otto anni. E naturalmente a seconda dell’età e delle caratteristiche individuali ogni bambino coglie alcuni aspetti della rappresentazione e non altri. Per questo è utile nel tornare a casa parlare di ciò che si è visto insieme all’accompagnatore, che può aiutare il bambino a collegare tra di loro momenti diversi dello spettacolo, situazioni che l’hanno colpito o su cui non si è soffermato. Il teatro dei burattini, ampiamente collaudato nel tempo, ha sempre ottenuto successo tra i bambini, anche perché il bravo burattinaio sa creare un dialogo con il suo pubblico, in una situazione ben diversa da quella televisiva dove non c’è interazione e lo spettatore può soltanto seguire le immagini sullo schermo”.

Quali differenze ci sono tra assistere a uno spettacolo dal “vivo” in teatro e sperimentarlo da uno schermo tv?
“Lo schermo è piatto, a due dimensioni e i personaggi, fisicamente irraggiungibili, si muovono in un sopramondo da cui lo spettatore è escluso: se interviene, chiedendo o proponendo qualcosa, non ottiene alcuna risposta e la storia prosegue come se lui/lei non fosse presente. La scena teatrale risulta più ‘vera’ perché è a tre dimensioni e perché gli spettatori e gli attori (o i burattini) condividono tutti lo stesso spazio, ossia il teatro: sia come edificio fisico con le sue caratteristiche, i suoi arredamenti (si pensi al clima di mistero e di attesa creato dal sipario che si apre…) che come luogo che accomuna. Lo spettatore è circondato da altri spettatori che, come lui, hanno reazioni emotive, commentano, ridono, approvano, disapprovano. Un altro vantaggio, da non sottovalutare, è che a teatro lo spettatore non è bombardato dagli spot pubblicitari come invece avviene quando è davanti allo schermo televisivo”.

Quali altri elementi dovrebbero essere presi in considerazione per ottenere da queste esperienze risultati più significativi?
“Un aspetto fondamentale è l’interattività. In questi spettacoli bisogna cercare di coinvolgere i bambini, prevedere spazi e tempi per i loro interventi e la loro partecipazione. Non durante tutto lo spettacolo, il che creerebbe confusione e discontinuità, ma in alcuni momenti. Anche in considerazione del fatto che in famiglia sono spesso fermi e muti davanti a uno schermo, in una età in cui, come sanno bene anche i pediatri, il movimento è fondamentale. Il teatro deve quindi essere un’occasione per rispondere al bisogno dei bambini di partecipare, di non essere soltanto e sempre spettatori. Per questo al di là degli spettacoli realizzati dagli adulti per i bambini, servono le recite con al centro i bambini, dove finalmente, come accade nei loro giochi spontanei, possono sentirsi protagonisti. Recite che però vanno studiate in modo da consentire la partecipazione di tutti, non soltanto dei più bravi”.

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