Una storia di potere, debolezze umane e do ut des nel mondo del lavoro. C’è uno spaccato della prassi politica moderna nell’inchiesta della procura di Catania sulle vicende che ruotano attorno alla Società interporti siciliani, Sis, per quasi il 90 per cento partecipata dalla Regione siciliana. Da un lato la storia di una lavoratrice con la passione per il teatro, Cristina Sangiorgi, finita ai domiciliari insieme all’ex deputato regionale di Biancavilla, nel Catanese, Nino D’Asero, legato a lei da una relazione sentimentale; all’ex amministratore della Sis Rosario Torrisi Rigano. Dall’altro la vicenda di una concessione che sarebbe stata gestita in maniera opaca, per cui è scattata la misura cautelare anche per l’imprenditore nel settore dei trasporti Luigi Cozza. In mezzo, alcuni degli uomini più potenti dello scorso – e attuale – governo regionale: l’ex assessore alle Infrastrutture e oggi titolare dell’Economia Marco Falcone, il suo segretario e alter ego Pippo Li Volti e l’ex assessore al Bilancio e vicepresidente della Regione Gaetano Armao, tutti indagati.

A dare il via all’indagine è un esposto di alcuni dipendenti della Sis e della Filt Cgil di Catania sullo strano caso della collega Cristina Sangiorgi. Licenziata e, a stretto giro, reintegrata. Nonostante le sue accertate bugie: la laurea in Scienze politiche all’università Kore di Enna – celebrata anche con una festicciola a lavoro – e la nomina di dirigente provinciale Cgil trasmessa per ottenere i permessi sindacali. Entrambe inesistenti. A spiegare ai dipendenti il cambio di rotta è lo stesso amministratore Torrisi Rigano: “Io ho un datore di lavoro, la Regione siciliana, e quando la richiesta mi viene presentata ‘O fai, o fai’, mi trovo obbligato a fare delle scelte”. Come appunto riassume la signora, “perché così ha deciso l’innominato”. A dargli un nome e cognome ci pensa la procura di Catania: si tratta di Nino D’Asero, ex parlamentare regionale di Centrodestra e compagno di Sangiorgi. Incapace di frenare le scenate e i capricci della donna, anche dopo aver riottenuto il suo posto di lavoro. Due gli obiettivi della lavoratrice: avere degli incarichi migliori o far saltare il posto dell’amministratore Torrisi Rigano. Con ogni mezzo: dai “io non voglio sapere più niente della tua Regione, degli amici tuoi. Io farò il nome di tutti, tutti!” ai “vedi che faccio correre tutta Catania, mi metto qui sulla balconata e gli dico che mi butto se non viene il procuratore qui sotto, se non viene Falcone e non viene Musumeci”, diceva intercettata.

A mediare per la sua posizione è soprattutto Pippo Li Volti, coordinatore della segreteria dell’ex e attuale assessore regionale Falcone. Ma quando questo non basta, D’Asero si rivolge anche all’entourage di un altro ex titolare di deleghe regionali, Gaetano Armao. Un turbinoso giro di telefonate che porta la gran parte dei protagonisti all’esasperazione. “Come si può giustificare l’attenzione di un assessore per una singola dipendente su quattromila?”, sbottava Armao. Un pensiero ben riassunto dallo stesso amministratore Sis: “Io non lo so questa chi è, la figlia sconosciuta di Mattarella? Io ho avuto esperienze in altre società, ma mai in una fogna di questo genere”, si sfogava Torrisi Rigano. Anche lui indagato, proprio per i due casi con cui Sangiorgi sperava di vederlo saltare: l’appropriazione di circa tremila euro dai conti della Sis – cifra poi restituita maggiorata, ma che fa comunque scattare l’accusa di peculato – e una gestione opaca dell’appalto per la concessione del polo logistico dell’interporto di Catania.

Ed è proprio su quest’ultimo passaggio che entra in scena l’imprenditore Luigi Cozza. Sganciato sulla carta da partecipazione societarie nella Luigi Cozza Trasporti ma indicato dai magistrati come il vero dominus dell’azienda, intestata formalmente ad alcuni parenti tra cui la moglie (non coinvolta, ndr). Tra l’imprenditore e l’ormai ex amministratore della Sis ci sarebbe stata una “commistione di ruoli e reciproci scambi di favori”, si legge nelle carte dell’inchiesta per corruzione. Sotto la lente d’ingrandimento la possibilità che venne data alla società privata di usufruire, in modo gratuito, del polo logistico dell’Interporto di Catania. Mesi senza pagare prima della firma, a gennaio 2020, della concessione per nove anni. Un accordo da quasi quattro milioni di euro a cui si arrivò tramite una procedura negoziata in cui l’unica società a partecipare fu proprio quella riconducibile a Cozza. A fare notare l’ambiguità della situazione a Torrisi Rigano, in un dialogo intercettato, era stato anche lo stesso assessore Falcone: “Lui è già dentro da sei mesi e non ha pagato un euro, gli abbiamo regalato sei mesi di tempo”, si lamentava.

C’è poi il capitolo sul posto di lavoro che Torrisi Rigano ottenne per la nuora all’interno della società di trasporti. Secondo gli inquirenti dopo l’aiuto nei confronti dell’imprenditore per la stipula di un contratto di sublocazione commerciale di uno dei capannoni del polo logistico all’Eurospin. “Io ti dovrei parlare anche di una cosa mia, se me lo permetti”, chiedeva l’amministratore della partecipata regionale a Cozza, l’imprenditore si mostrava disponibile: «Io sono a tua completa disposizione». Posto di lavoro sul quale Torrisi Rigano non faceva mistero della propria intercessione. “Non ce ne sono angeli. Do ut des. Chiaro?”, diceva al figlio. Mentre alla nuora sottolineava il fatto di essersi mosso “in silenzio”. A parlare, dopo il blitz dei carabinieri, sono stati Falcone e la stessa Lct. Il primo ha sottolineato la propria estraneità alle contestazioni mentre la ditta di trasporti indica come alla stessa, e ai propri organi societari, non vengano mosse contestazioni. Intanto il 20 gennaio si sono svolti gli interrogatori di garanzia e sono comparsi davanti al giudice Carlo Umberto Cannella tutti e quattro gli indagati sottoposti a misura cautelare. Un’udienza fiume, tenutasi al terzo piano del palazzo di giustizia, in cui hanno deciso di rispondere alle domande. “L’ex deputato D’Asero – spiega a ilfattoquotidiano.it l’avvocato Tommaso Tamburino – ha confermato di essersi speso per evidenziare le legittime pretese della dipendente che, negli uffici della Sis, viveva una situazione ambientale difficile dovuta a contrasti quotidiani con i colleghi in un contesto generale in cui l’amministrazione della partecipata non riusciva a porre rimedio”.

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