Il nuovo ministro israeliano per la Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, non molla il pressing sulla popolazione palestinese e, dopo la provocatoria ‘passeggiata’ sulla Spianata delle Moschee, ha deciso di vietare l’esibizione in pubblico delle bandiere palestinesi definendole un “simbolo del terrorismo”.

Il leader di Otzma Yehudit, a dieci giorni dall’entrata in carica del nuovo esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu, si è subito messo alla testa dell’ala più intransigente, conservatrice e anti-palestinese di uno dei governi più a destra della storia israeliana. E la decisione di rendere illegale l’esposizione della bandiera palestinese è solo l’ultimo atto a conferma di una linea che, nei giorni scorsi, ha messo in imbarazzo anche il primo ministro stesso, costretto ad annullare la sua visita in programma negli Emirati Arabi dopo il ‘blitz’ del suo ministro davanti alla moschea di al-Aqsa.

Ben-Gvir ha infatti ordinato alla polizia di rimuovere tutte le bandiere palestinesi, ritenendole una minaccia all’ordine pubblico. “Oggi ho ordinato alla polizia israeliana di far rispettare il divieto di esibire qualsiasi bandiera dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina che dimostri l’identificazione con un’organizzazione terroristica dagli spazi pubblici e di mettere fine a qualsiasi incitamento contro lo Stato di Israele – ha scritto su Twitter – Non può essere che i trasgressori sventolino bandiere terroristiche, incitino e incoraggino il terrorismo”.

Le cose, però, sono diverse da come le racconta il ministro. Un tempo Israele considerava la bandiera palestinese come quella di un gruppo militante vicino a Hamas o Hezbollah. Dopo la firma degli Accordi di Oslo del 1993, però, la bandiera rossa, verde e bianca è stata riconosciuta come quella dell’Autorità nazionale palestinese, creata per amministrare Gaza e parti della Cisgiordania occupata. Non un simbolo terroristico, quindi, ma istituzionale.

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