Il melanoma, uno dei tumori della pelle più aggressivi, può diffondersi in tutto il corpo e provocare serie conseguenze all’organismo, per cui è urgentemente necessario comprendere i meccanismi alla base della propagazione di questo tumore per sviluppare trattamenti e terapie più efficaci e mirati. A compiere un passo importante verso questa direzione uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Cell Biology, condotto dagli scienziati della Queen Mary University, del King’s College di Londra e dal Francis Crick Institute.

Il gruppo di ricerca, guidato da Victoria Sanz-Moreno, Yaiza Jung e Jeremy Carlton, ha identificato una particolare proteina, chiamata LAP1, che permette al cancro della pelle di alterare la forma del proprio nucleo e diffondersi in tutto il corpo, rendendo il tumore più aggressivo e pericoloso. Il melanoma, spiegano gli esperti, è un tumore maligno che si origina generalmente dai melanociti della cute e delle mucose. Questa forma di neoplasia, che colpisce prevalentemente soggetti di età compresa tra i 30 e i 60 anni, si sviluppa attraverso diversi stadi di progressione, caratterizzati da aspetti clinici ed istologici diversi. L’incidenza del melanoma è in crescita, tanto da sembrare raddoppiata nell’ultimo decennio. A livello mondiale, si stima che negli ultimi dieci anni si siano verificati circa 100mila nuovi casi ogni anni, con tassi più elevati nelle regioni particolarmente soleggiate e nelle persone con la pelle particolarmente chiara. In Italia si contano circa settemila nuovi casi ogni anno. Per quanto riguarda la mortalità, questa forma di neoplasia può essere complicata da distinguere rispetto ad altri tumori maligni della pelle in fase di riscontro diagnostico del decesso. Nella maggior parte dei casi, la morte del paziente può essere ricondotta alla presenza di metastasi.

I ricercatori hanno modellato il comportamento delle cellule di melanoma aggressivo in grado di alterare la forma del proprio nucleo e migrare in tutto il corpo. Questa caratteristica permette alle cellule di superare i vincoli fisici dei diversi tessuti. Gli esperti hanno rilevato livelli elevati di una proteina chiamata LAP1, il cui aumento sembrava correlato a un rischio maggiore di prognosi sfavorevole. Il team ha valutato come le cellule tumorali aggressive reagivano attraverso i pori di una membrana artificiale, osservando la capacità di modificare il proprio nucleo per muoversi nel tessuto. Gli esperimenti hanno mostrato che le cellule più aggressive erano in grado di spostarsi in modo più efficiente formando rigonfiamenti sul bordo del proprio nucleo. L’analisi ha rilevato che queste bolle erano caratterizzate da una presenza elevata della proteina LAP1. “Questo amminoacido – commenta Carlton – allenta il legame tra l’involucro nucleare e il nucleo sottostante. Le bolle rendono quindi il nucleo più fluido”. Il modello di espressione di LAP1 è stato osservato anche nei campioni di melanoma dei pazienti umani, con livelli più elevati associati ai siti metastatici rispetto ai tumori primari.

I soggetti con livelli elevati di LAP1 nelle cellule attorno al bordo del tumore primario erano correlati a malattie più aggressive ed esiti peggiori, per cui la proteina potrebbe essere utilizzata per identificare sottopopolazioni di pazienti a maggior rischio. “Il melanoma – afferma Sanz-Moreno – è il tipo più aggressivo e mortale di cancro della pelle. Abbiamo acquisito una nuova comprensione delle meccaniche che contribuiscono alla progressione del tumore. Al momento non esistono farmaci che prendono di mira LAP1, ma il nostro lavoro potrebbe aprire la strada allo sviluppo di nuovi approcci volti a contrastare la diffusione del melanoma”. Nei prossimi step, il gruppo di ricerca vorrebbe valutare se la formazione di bolle possa verificarsi in altre cellule che contribuiscono alla formazione e allo sviluppo del tumore. “Questa nuova comprensione di come il melanoma possa diffondersi nell’organismo – conclude Iain Foulkes, direttore esecutivo della ricerca e dell’innovazione presso Cancer Research UK – apre nuove strade di indagine su come contrastare la malattia”.

Valentina Di Paola

Foto: Jung García, et al.

Lo studio su Nature

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Covid, la doppia mutazione acquisita dalla variante Kraken che continua a crescere in Usa

next
Articolo Successivo

“Generate molecole di Rna in grado di riaccendere i geni silenziati e ridurre la crescita dei tumori”

next