A distanza di pochi giorni dall’insediamento di Lula come nuovo presidente del Brasile, le bandiere brasiliane e le magliette verdeoro della seleção sono tornate a riempire la denominata Piazza dei tre poteri nella capitale Brasilia, disegnata dall’indimenticabile genio architettonico di Oscar Niemeyer. Mentre però il primo di gennaio abbiamo assistito ad una festa della democrazia, l’inizio di un nuovo cammino verso un Brasile più equo e umano, ieri abbiamo visto l’attacco violento di “golpisti” fanatici devoti all’idea di un paese che con Bolsonaro aveva trovato il suo reale splendore.

I followers di Bolsonaro, che ha abbandonato il paese a fine dicembre sottraendosi alla liturgia democratica del passaggio di fascia presidenziale, hanno attaccato, invaso e distrutto l’interno dei palazzi simbolo dei tre poteri dello Stato brasiliano: il Palazzo di Planalto (sede del potere esecutivo, ufficio del presidente Lula), il palazzo del Congresso (sede del potere legislativo) e il palazzo del Tribunale Supremo Federale (sede del potere giudiziario).

I golpisti sono partiti dalle immediatezze del quartiere generale dell’esercito (a 9 km dalla zone dei fatti) dove si trovavano accampati dal 30 di ottobre 2022, giorno nel quale Jair Bolsonaro ha perso le elezioni. I bolsonaristi (chiamati per le strade brasiliane anche con il termine peggiorativo di Bolsominion) hanno chiesto a gran voce fin dall’inizio un intervento militare per sovvertire il risultato elettorale e riportare Bolsonaro, o quanto meno il bolsonarimso, al potere.

L’attacco è avvenuto nel pomeriggio di ieri mentre Lula si trovava fuori dalla Capitale. La polizia non ha agito con prontezza ma soprattutto si vedeva che “picchiava senza far male” come mi hanno ripetuto vari colleghi giornalisti e attivisti brasiliani. Durante manifestazioni per il diritto alla casa o all’educazione, si è visto negli anni passati una repressione sanguinaria con donne, anziani e giovani presi a manganellate fino a sanguinare: ieri invece sembrava quasi che la polizia accompagnasse e aprisse cammino ai fanatici di Bolsonaro. Ora la situazione è sotto controllo e ci sono stati circa 400 arresti.

In questo senso Lula, in una conferenza stampa d’urgenza (da Araraquara, Stato di São Paulo) dove ha difeso la democrazia, ha ordinato l’intervento federale del distretto della capitale, assicurando che i colpevoli verranno puniti. Dal canto suo il giudice della Corte Suprema del Brasile, Alexandre de Moraes, ha rimosso dal suo incarico il governatore del Distretto Federale di Brasilia, Ibaneis Rocha, per 90 giorni. Saranno molti i punti da chiarire e anche le eventuali connivenze con gli assaltanti, visto per esempio che il Segretario alla Sicurezza del Distretto Federale di Brasilia, Anderson Torres, è un alleato dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro.

Bolsonaro dagli Stati Uniti ha dichiarato su Twitter: “Basta, ripudio le accuse, non provate, attribuitemi dall’attuale capo esecutivo del Brasile”. E poi ha continuato affermando che “durante il mio mandato ho sempre attuato nell’ambito della Costituzione, rispettando e difendendo le leggi, la democrazia, la trasparenza e la nostra sacra libertà”. Ha poi concluso: “Le manifestazioni pacifiche, sotto forma di legge, fanno parte della democrazia. Tuttavia, i saccheggi e le invasioni di edifici pubblici come avvenuti oggi, così come quelli praticati dalla sinistra nel 2013 e nel 2017, sfuggono alla regola”.

Nel frattempo però Valdemar Costa Neto, presidente del Partito Liberale tra cui le fila orbitava l’ex presidente Bolsonaro, ha preso le distanze dalla “vergogna” dell’assalto dei Bolsonaristi alla sede della Presidenza, del Congresso e della Corte Suprema Federale a Brasilia assicurando che quello di ieri è stato un “giorno triste per il Brasile”.

Quanto successo ieri ricorda tristemente i fatti di Capitol Hill, negli Stati Uniti il ​​6 gennaio 2021, quando circa 10.000 persone, la maggior parte delle quali sostenitori del presidente uscente Donald Trump, hanno marciato verso il Campidoglio. Quasi mille di loro hanno assaltato poi l’edificio, causando 5 morti e 140 agenti feriti.

Il messaggio lanciato a Lula ieri è stato chiaro: deve avere paura, camminare “sulle uova” e non avere la possibilità di fidarsi di nessuno. Il bolsonarismo è vivo è vegeto e il paziente (la democrazia brasiliana) non è in stato di recupero ma ahimè ha le convulsioni. Meno male che Edson Arantes do Nascimento (Pelé) non ha dovuto vedere tutto questo…

Come ciliegina sulla torta, le notizia secondo la quale Jair Bolsonaro starebbe immaginando una exit strategy per sottrarsi eventualmente ai problemi giudiziari che potrebbe affrontare nei prossimi mesi (relativi a quanto avvenuto nel suo mandato presidenziale). Questa exit strategy si chiama “richiesta di cittadinanza italiana”, già fatta poche settimana fa dai suoi figli. Bolsonaro è legato ad Anguillara Veneta, dove era stato fatto cittadino onorario e l’Italia potrebbe così diventare il suo grande salvagente in questi prossimi mesi di mar in tempesta.

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