“Guardiola ha rovinato il calcio”. Basta googlarla questa frase e compaiono milioni di risultati. La teoria è abbastanza semplice: cercando di imitare il tecnico blaugrana, in particolare gli allenatori di squadre piccole e dunque senza il materiale che Pep si è trovato a disposizione a Barcellona, Monaco e Manchester, hanno snaturato il pragmatismo che era tipico delle provinciali. Naturalmente qui non c’è il minimo interesse a confutare o confermare questa teoria, semmai un invito: provate a sostenerlo a Terni, in qualche bar, magari alla presenza di qualche vecchietto tifoso della squadra di calcio locale. Vedrete comparire un sorrisetto, almeno. Già, perché se si inizia a parlare di tiki-taka dopo essere passati per Guardiola si va inevitabilmente al Milan di Sacchi per finire all’Olanda di Crujff tralasciando però una parte fondamentale di quella storia e di quella filosofia di gioco: la Ternana di Viciani.

Il 7 gennaio 1973, esattamente cinquant’anni fa dunque, quella squadra rivoluzionaria coglieva quella che sarebbe stata l’ultima vittoria di quel suo primo anno in Serie A: un 2-0 sul Vicenza con gol di Carrillo e autorete di Faloppa. Poco? Forse sì, per quel che meritava quella Ternana, ma abbastanza per lasciarla nella storia. Non aveva una gran tradizione calcistica, Terni: nel 1947 aveva sfiorato la A, ma era un altro calcio. A cavallo tra gli Anni ’50 e ’60 le “Fere” sono tra la veccia Interregionale e la Serie D, per poi essere promossi in C nel 1964. Nel 1967 sulla panchina rossoverde arriva il giovane Corrado Viciani dal Prato: vince subito il campionato e porta la squadra in B, e resta alla guida per un altro anno che si conclude con un dignitoso decimo posto. La squadra del presidente Taddei è ambiziosa: chiama Vinicio, all’inizio della sua carriera da allenatore, e poi di nuovo Viciani.

Non è irresistibile la Ternana: ha buoni giocatori come il capitano Marinai, Angelino Rosa, Antonio Cardillo, Salvatore Iacolino. Ma ci sono squadre più attrezzate, c’è la Lazio di Maestrelli con Chinaglia, Papadopulo, Wilson, Massa. E invece la formazione rossoverde inanella una serie di prestazioni positive e mette dietro proprio la Lazio: anzi, mette dietro tutte le squadre e vince il campionato. Entra nella storia perché è la prima squadra umbra ad arrivare in Serie A, ma soprattutto perché lo fa in un modo non certo convenzionale: la Ternana propone il “gioco corto”, che è una fitta trama di passaggi in cui i calciatori devono star vicini tra loro, non devono lanciar lunga la palla e tutti devono partecipare a tutte le fasi di gioco. Oggi sembra di parlare di qualcosa di comune: nel 1971, in cui il catenaccio col libero che lancia lungo o il contropiede in Italia sono praticamente un mantra, la situazione era ben diversa.

Necessità, certo, come lui stesso ammette quando dice che “avevo degli asini come giocatori, non potevo permettermi lanci lunghi, invenzioni, fantasie”. Piuttosto “bisognava correre, fare passaggetti facili facili, sovrapporsi”. Ma ovviamente non solo, sicuramente tutt’altro. Tant’è che lo dice apertamente Viciani: a lui il modello italiano non piace. In una finale di Champions League tra Inter e Ajax afferma di tifare per gli olandesi e che una vittoria dei lancieri sarebbe stata auspicabile per tutto il calcio italiano. È un allenatore che arriva a citare Pericle come modello della sua Ternana, dove c’è uno e uno solo che decide: ovviamente lui. È un allenatore che frequenta artisti del calibro di Guttuso e De Chirico. Di certo non è simpatico né ai colleghi né a un movimento calcistico fortemente conservatore.

L’esordio in A è al San Paolo contro il Napoli di Beppe Chiappella: le Fere perdono 1-0 dopo aver giocato però benissimo. Nella seconda in casa annichiliscono letteralmente il Milan di Nereo Rocco e di Gianni Rivera: i rossoneri non vedono palla, mentre dall’altra parte Beatrice, Cardillo, Marinai e gli altri sono praticamente ovunque. I rossoverdi arrivano dalle parti di Vecchi tantissime volte, ma solo l’imprecisione degli attaccanti non permetterà agli uomini di Viciani di regalare la gioia più grande al Libero Liberati, e finisce 0-0 una sfida contro una squadra che nella giornata precedente aveva rifilato quattro gol al Palermo, in quella successiva addirittura nove all’Atalanta. Rocco dirà che quel punto era effettivamente troppo rispetto a quello che aveva mostrato il Milan in partita.

Alla seconda apparizione al Liberati arriva la vittoria: 2-0 al Bologna, a novembre la squadra è addirittura a due punti dalla zona Uefa, ma lentamente i ritmi di gioco di Viciani, ben più dispendiosi rispetto al catenaccio e contropiede portano effetti negativi su una rosa non eccelsa. Certo, Viciani ha anche il merito di scovare perle come il giovanissimo Franco Selvaggi, ma se il girone di andata chiuso a 11 punti lasciava intravedere la possibilità di salvarsi, quello di ritorno, in cui la squadra ne fa soltanto 4 segna la fine di quel sogno. La Ternana in A ci tornerà subito con Enzo Riccomini, Viciani invece andrà al Palermo di Renzo Barbera, arrivando dalla B a giocare la finale di Coppa Italia contro il Bologna, perdendo ai rigori. “Hanno vinto i poteri forti: quella Coppa doveva vincerla il Palermo e la mia carriera sarebbe cambiata”, dirà poi. Il suo “gioco corto” infatti in A non è mai più arrivato, ma a Terni è tornato altre due volte. Da questo mondo è andato via nel 2014. Ma provate ad andare a Terni e parlare di tiki-taka.

Articolo Successivo

Gianluca Vialli morto – La storia a Genova, lo stile a Londra, il cuore con l’Italia del ‘gemello’ Mancini: addio al campione che ha sconfitto la banalità

next