Voucher sì, voucher no. I tanto contestati buoni lavoro, reintrodotti dopo cinque anni dal governo Meloni per i lavoratori del comparto Horeca e della cura della persona, non saranno ripristinati per il settore agricolo. Al loro posto la manovra – per effetto di un emendamento dei relatori – prevede il nuovo contratto di lavoro occasionale a tempo determinato. Si tratta di una misura sperimentale, che sarà in vigore solo per il 2023 e il 2024, e che ha come obiettivo quello di rendere flessibile il ricorso alla manodopera per le attività stagionali, tipiche dell’agricoltura. Basti pensare che su 1,1 milioni di addetti, solo il 10% è a tempo indeterminato. In sostanza, il nuovo strumento consente alle imprese agricole di assumere un lavoratore per massimo 45 giorni in un anno.

Il compenso sarà quello stabilito dai contratti collettivi. Il requisito temporale risponde all’esigenza di non sforare la soglia dei 51 giorni, superati i quali si ha diritto alla disoccupazione e agli assegni familiari. È possibile però cumulare le giornate con le altre ore di lavoro prestate per altri contratti stagionali eventualmente in essere, in modo da maturare i requisiti per accedere alle prestazioni sociali. Ma ci sono anche degli altri paletti. Una prima restrizione riguarda le persone che possono essere assunte: pensionati, disoccupati, chi percepisce ammortizzatori sociali o il reddito di cittadinanza, studenti fino a 25 anni e detenuti. Inoltre, esclusi i pensionati, non bisogna avere avuto un rapporto di lavoro subordinato in ambito agricolo nei tre anni precedenti. Infine, il datore deve comunicare al centro per l’impiego l’apertura del contratto, mentre il lavoratore, prima di iniziare l’attività, deve fornire un’autocertificazione che attesti il possesso dei requisiti previsti. In caso di mancata notifica o di assunzione di soggetti diversi da quelli previsti dalla norma, scattano multe comprese tra i 500 e i 2.500 euro per ogni giornata lavorativa che non risulti in regola.

La durata massima del contratto è di 12 mesi e il limite dei 45 giorni si applica al numero massimo delle giornate effettive di lavoro. Se si supera questa soglia, il rapporto occasionale viene automaticamente trasformato in contratto a tempo indeterminato. L’obiettivo è quello di frenare i numerosi abusi che avevano caratterizzato la lunga stagione dei voucher e che avevano spinto alcuni a parlare di “caporalato di carta”. Introdotti in via sperimentale, solo per la vendemmia, nel 2007, i buoni lavoro furono poi liberalizzati nel 2009. Vennero estesi negli anni successivi anche ad altri settori, determinando una vera esplosione del ricorso a tali strumenti, finché il governo Gentiloni nel 2017 decise di cancellarli per evitare il referendum promosso dalla Cgil. I numeri rispecchiavano una situazione patologica: dai 2 milioni di biglietti staccati nel 2009 si passò ai 15 milioni del 2011 per toccare la cifra monstre di 134 milioni nel 2015, per un totale di 433 milioni durante tutto il periodo. I voucher per la vendemmia crebbero dai 535mila del 2008 a 1,1 milioni nel 2011 per stabilizzarsi attorno agli 1,3 milioni fino al 2016, mentre in ambito agricolo ne furono emessi 2 milioni l’anno fino a quando non vennero soppressi.

Negli ultimi mesi, i voucher sono tornati alla ribalta. La prima versione della legge di bilancio prevedeva di reintrodurli, oltre che per la ristorazione e il turismo, anche per il settore agricolo. Poi, vista l’opposizione incontrata soprattutto dai sindacati, il governo ha fatto marcia indietro. Quasi per paradosso, proprio ora che viene esteso l’utilizzo di voucher anche in altri settori, il comparto che ha fatto da apripista, quello agricolo, ne rimane escluso. Ma la soluzione trovata dal governo con il contratto da 45 giorni lascia tiepidi sia i sindacati che le imprese. Mentre il vicepresidente di Confagricoltura, Sandro Gambuzza, parla di “forma ibrida tra lavoro dipendente e occasionale” sollevando dubbi sull’effettivo grado di semplificazione apportato dallo strumento, i sindacati plaudono alla decisione di non estendere i buoni lavoro a tutti gli addetti del settore. “Apprezziamo che si sia evitata la liberalizzazione generalizzata prevista inizialmente dalla bozza di manovra del Governo” commenta il segretario generale della Fai-Cisl, Onofrio Rota, anche se “rimangono perplessità sulle modalità operative di funzionamento di questi strumenti, rispetto al quale attendiamo chiarimenti”.

Più critica la posizione della Flai Cgil, che per bocca del segretario, Giovanni Mininni, ribadisce la propria contrarietà alle novità contenute nella manovra: “nonostante le modifiche che introducono qualche miglioramento, il nostro giudizio resta negativo”. Per il sindacalista, infatti, “si estende la precarietà perché vengono meno i limiti economici attualmente previsti per il lavoro occasionale e si allarga la possibilità di utilizzare il lavoro accessorio a tutte le imprese del settore primario”. “Con questa norma” aggiunge Mininni, “si lascia il lavoratore nelle mani dell’impresa, che lo chiamerà quando vuole. I datori di lavoro corretti, certamente applicheranno la norma senza approfittarne ma, vista la diffusa irregolarità del settore, risulta difficile pensare che non ci siano tanti che possano approfittarne”.

Ma tra le misure relative al lavoro agricolo previste non c’è solo la nuova tipologia contrattuale che manda in pensione i voucher. Vengono infatti prorogati anche l’esonero contributivo e l’esenzione Irpef per i redditi agrari. I coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali con meno di 40 anni che si iscrivono alla previdenza agricola entro la fine del 2023 godranno di un esonero totale dei contributi per un periodo di due anni. Il costo totale è pari a 54,3 milioni di euro. Sul fronte Irpef si prevede che i redditi dominicali (relativi alla proprietà dei terreni) e agrari (derivanti dall’esercizio di un’attività) generati nel 2023 non concorrano a formare la base imponibile di coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali. Il costo per le casse dello Stato ammonta a 237 milioni di euro.

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