Il nostro Paese è afflitto da una infinità di problemi. Tra questi lo sterminio del significato delle parole. Imperversa infatti, in particolare fra i politici, la tendenza malsana a snaturare le parole, di piegare i concetti fino a svuotarli di significato, rovesciando sistematicamente la verità e costruendo una realtà virtuale, sulla quale imporre le proprie scelte.

Prendiamo la parola garantista. Chi si autodefinisce tale ogni tre per due di solito dimentica (o neppure sa) che di garantismo ce n’è più d’uno. C’è il garantismo classico, secondo il quale le garanzie o sono veicolo di uguaglianza o si degradano a strumento di sopraffazione e privilegio. C’è un garantismo strumentale, diretto a depotenziare la magistratura, che si vorrebbe disarmata di fronte al potere economico e politico. Parallelo a quest’ultimo è il garantismo selettivo, che adegua le regole in base allo status sociale dell’imputato.

Molti di coloro che si autoproclamano garantisti doc, sentendosi così autorizzati a scovare in ogni dove eretici giustizialisti da mettere alla gogna, si ispirano in realtà a quelle forme che sono la negazione dell’autentico garantismo. Ne offrono una dimostrazione coloro (in testa l’attuale Guardasigilli Carlo Nordio) che sfornano progetti su progetti per la riforma della giustizia penale che in realtà produrranno danni irreversibili: all’indipendenza della magistratura (separazione delle carriere); al principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (non obbligatorietà ma discrezionalità dell’azione penale); alla repressione dei reati più gravi, come mafia e corruzione (guerra alle intercettazioni).

Altro che garantismo! Si tratta di controriforme pericolose per la qualità della nostra democrazia. Cominciamo allora a chiamare le cose con il loro vero nome e non con autocelebrazioni fasulle e fuorvianti. Così sarà davvero un Buon anno.

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