“Aprile è difficile da capire, impossibile da esplorare. Perché è fatto di fiori e di frutta nuova, fa immaginare che il peggio sia passato e non ci sia più da aver paura.” La solitudine del commissario Ricciardi è tornata a indagare e a farci sognare con le sue visioni, in un aprile del 1939, Caminito (Einaudi, 2022).

Maurizio de Giovanni, questa volta, ha scelto uno degli anni più bui del secolo scorso, l’anno in cui scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. Un ritorno che, a sua volta, ha coinciso con un anno a dir poco difficile per lo scrittore napoletano, colpito da un infarto l’estate scorsa. Ricciardi “il mio vestito più emotivo, più sentimentale”, come lo stesso scrittore lo definisce, non l’ha mai lasciato solo anche quando sembrava non esserci ritorno. È stato il primo a soccorrerlo con una nuova storia, a cinque anni di distanza dalla morte della moglie Enrica, e con una nuova protagonista: la figlia Marta che sembra riservarci non poche sorprese.

L’estate scorsa hai avuto un infarto, cosa ti ha tolto e cosa ti ha insegnato?
E’ stato un evento improvviso anche se, a pensarci bene, forse qualche avvisaglia l’avevo avuta. Ma quando una cosa così ci riguarda in prima persona, la reazione, comprensibile quanto irresponsabile, è sempre la stessa: di sicuro non è niente. E invece purtroppo mi sono ritrovato in terapia intensiva, senza sapere come sarebbe andata a finire.

Non ho avuto paura né dolore: solo una grande nostalgia del futuro, di quello che non avevo fatto e che forse non sarei più riuscito a realizzare. L’infarto mi ha tolto la spensieratezza, ma mi ha ricordato ancora una volta che non dobbiamo mai rimandare quello che siamo pronti a fare.

Sei uno scrittore prolifico, la pagina bianca non ti ha mai spaventato.
In effetti ho più storie di quelle che potrò mai scrivere. Sono fortunato, mi basta guardarmi intorno: Napoli non smette mai di raccontare a chi sia pronto, con umiltà e spirito di osservazione, a raccoglierne le confidenze.

Ti definisci un accanito lettore più che uno scrittore, perché?
Potrei smettere di scrivere anche domani, ma non rinuncerei mai a leggere. Spesso mi alzo molto presto proprio per poter divorare le mie pagine quotidiane.

Hai detto che il lettore partecipa in modo attivo alla scrittura del libro con la propria immaginazione. Il segreto del successo è scegliere con cura le cose da lasciare alla sua immaginazione?
Io non penso mai al lettore, quando scrivo. Non c’è niente di più sbagliato che confezionare storie che lo scrittore immagina saranno gradite a chi le leggerà. Non tengo conto nemmeno di quello che si aspetta l’editore. L’unica categoria da rispettare sempre per risultare credibile sono i personaggi. I miei lettori sono liberi di scrivere la pagina che non c’è dopo aver chiuso il libro, e la loro libertà deve essere assoluta, addirittura confliggente con quanto io abbia potuto pensare.

Caminito (Einaudi, 2022), il nuovo romanzo, è ambientato nel 1939, l’anno in cui l’odio che soffiava sull’Europa fece scoppiare la Seconda Guerra Mondiale con l’invasione della Polonia da parte della Germania. Quanto ti ha ispirato l’attuale momento storico tra la guerra in Ucraina e il governo più di destra dopo Mussolini?
Ricciardi come sai ha all’attivo altre dodici storie. E’ un caso che la nuova avventura coincida con l’attuale situazione storico-sociale. Direi piuttosto che la guerra e il governo Meloni mi hanno convinto che era giunto il momento di farlo tornare, nonostante dopo la morte di Enrica avessi deciso di mettere un punto più o meno definitivo alla storia.

È impossibile pensare a te senza pensare ai tuoi personaggi e di conseguenza alla loro trasposizione sul piccolo schermo, eppure non hai mai firmato la sceneggiatura delle fiction tratte dai tuoi romanzi.
Credo sia giusto che ognuno faccia il suo mestiere. I libri e la televisione sono due forme di espressione troppo diverse per poter essere gestite al meglio dalla stessa persona. Sono un assertore della specificità dei ruoli: io mi tengo stretto il mio e mi limito a guardare le fiction. Anzi, a dirla tutta non le guardo nemmeno, con grande sconcerto di mia moglie.

Hai sostenuto la candidatura a Napoli del sindaco Manfredi, cosa pensi del fatto che la città non abbia un assessore alla cultura?
E’ un punto di attrito con Gaetano, che ho sostenuto con convinzione. Non riesco proprio a rassegnarmi alla mancanza di una figura a mio modo di vedere fondamentale. Ripenso a quello che ha fatto Nino Daniele con pochissime risorse e mi manca ogni giorno di più.

Né il Napoli né l’Argentina hanno più vinto dopo Maradona, un incantesimo che si è rotto solo con la sua morte, sembra quasi che la sua presenza fosse un peso troppo grande per chi indossava le sue maglie.
Sicuramente la presenza di Maradona è qualcosa di ingombrante, lo sa bene Messi che, in tutta la sua carriera, ha dovuto seguire questo totem. Dopo la vittoria dell’Argentina, mi auguro che anche il Napoli possa risolvere questo tabù che fa parte della sua storia. Penso però che le ragioni per cui entrambe non abbiano vinto non riguardino Maradona, diciamo che la presenza di Maradona ha orientato le vittorie, non la sua assenza le sconfitte.

Questo è davvero l’anno buono?
Non so di cosa parli. Buono in che senso? Mi meraviglio che tu non sappia che io seguo soltanto il curling. Ti citerò Eduardo: l’essere superstizioni è da ignoranti, ma non esserlo porta male.

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