La compagnia petrolifera anglo-olandese Shell si è impegnata a versare 15 milioni di dollari alle comunità che nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2007 sono state colpite da molteplici perdite dagli oleodotti nella Nigeria sud-orientale. Il risarcimento è il risultato di una causa giudiziaria, intentata nel 2008 da quattro agricoltori locali e dall’associazione ambientalista olandese Friends pf Earth, mirata ad ottenere rimborsi per i danni economici provocato dalla contaminazione di fiumi e terreni agricoli.

La Shell, dopo la sentenza avversa ricevuta nel processo d’appello, ha poi raggiunto un accordo con i ricorrenti ma ha chiarito, in un comunicato, che l’intesa “non prevede l’ammissione di responsabilità, risolve tutti i reclami e pone fine a tutte le controversie pendenti relative alle fuoriuscite” e che le perdite deriverebbero da sabotaggi agli oleodotti e non da incuria. Nonostante l’ammontare della compensazione sia contenuto, secondo la BBC si tratta di un evento che costituisce una pietra miliare per le comunità rurali che vivono nel Delta del Niger e per gli attivisti ambientalisti. La salute e la vita di molti residenti dell’area risente, infatti, dell’inquinamento provocato dal petrolio.

La Nigeria è il primo produttore di petrolio del continente africano e la Shell opera nel Delta del Niger, anche con la succursale Shell Petroleum Development Company of Nigeria (SPDC), da oltre 60 anni. La multinazionale possiede 50 pozzi petroliferi e può contare su oltre seimila chilometri di oleodotti e gasdotti. Nel 2019 l’estrazione di petrolio e gas nella nazione africana hanno generato proventi per 4,5 miliardi di dollari mentre l’azienda ha versato 446 milioni di dollari di royalties. Il problema, come testimoniato da un rapporto del 2011 dell’Agenzia delle Nazioni Unite per la protezione ambientale (Unep), è che le attività hanno distrutto il territorio contaminando terreni e pozzi d’acqua potabile con sostanze potenzialmente cancerogene come il benzene i cui livelli risultavano essere 900 volte superiori ai limiti stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Le compensazioni per le popolazioni locali, che vivono di agricoltura e pesca, sono raramente erogate perché è difficile determinare, nel corso dei processi, le cause dei guasti tecnici che provocano le fuoriuscite di petrolio. Si tratta di una situazione problematica che ha spinto molti giovani della zona, colpiti anche dalla disoccupazione e privati del futuro, a lanciare attacchi contro l’industria petrolifera. A partire dal 2003 si sono verificati incendi di oleodotti, sequestri dei lavoratori del settore per chiederne il riscatto ed uccisione dei soldati addetti alla protezione degli impianti. I politici hanno sfruttato queste vicende oppure le hanno ignorate finché il Governo Federale non si è ritrovato costretto a lanciare un’amnistia presidenziale nel 2007 per ridurre i ranghi dei rivoltosi. Chi può, però, non esita a lasciare queste terre alla ricerca di una vita migliore.

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