di Roberta Prataviera

Vivo in un paesetto della Tuscia laziale e già adesso in stagione di caccia è impossibile camminare per boschi e uliveti senza rischiare di essere impallinati (solo il martedì e il venerdì non possono sparare). Succede che tirino ai cinghiali 10 metri sotto casa mia, per ora illegalmente, ma non riesco a far intervenire nessuno: c’è connivenza.

Un pallettone che conservo mi ha sforacchiato la porta finestra che affaccia verso la macchia rimbalzando dentro casa (una casa nel centro storico). La caccia al cinghiale è quanto di più cruento e barbarico esista: cani sbudellati, cinghiali impazziti e urlanti di terrore e paura, il tutto offertomi in prima fila sotto casa.

Promotrice della liberalizzazione in finanziaria è l’associazione Libera Caccia composta da neofascisti, che da queste parti va molto forte e alla quale aderiscono anche membri delle forze dell’ordine preposte al controllo delle attività venatorie. La scusa è che i cinghiali sono troppi, come se l’aver fatto estinguere il cinghiale maremmano, poco prolifico e l’averlo sostituito con specie importate e molto prolifiche fosse responsabilità di altri.

Come se la pratica dell’ibridazione e la pasturazione fossero opera dello spirito santo. Sparano anche a lepri e fagiani comperati e liberati la primavera precedente, animali disorientati e praticamente domestici come polli che si possono catturare con le mani. E’ desolante. Pur di sparare, tutto è lecito.

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