“Il Senato della Repubblica è legittimato ad essere parte del conflitto di attribuzione, essendo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere che esso impersona”. È quanto si legge nell’ordinanza con cui il 24 novembre scorso la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato nei confronti della Procura di Firenze, a proposito dell’acquisizione di chat e mail del leader di Italia viva Matteo Renzi disposta nell’indagine sulla fondazione Open. Renzi si era rivolto all’allora presidente di Palazzo Madama Elisabetta Casellati sostenendo che i pm avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione parlamentare per sequestrare i dispositivi elettronici di altre persone (non coperte dall’immunità parlamentare) che avevano avuto avuto scambi con lui: una tesi accolta prima dalla Giunta per le immunità e successivamente dall’Aula. Ora la Consulta dovrà fissare la data dell’udienza per la decisione nel merito.

“In conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, deve essere altresì riconosciuta la natura di potere dello Stato al pubblico ministero e, in particolare, al procuratore della Repubblica, in quanto investito dell’attribuzione, costituzionalmente garantita, inerente all’esercizio obbligatorio dell’azione penale”, scrivono i giudici costituzionali, ricordando che Renzi “lamenta la lesione dell’attribuzione prevista dall’art. 68, terzo comma”, della Carta, “che richiede l’autorizzazione della Camera di appartenenza per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e sequestro di corrispondenza“. Quello sollevato dal Senato, dunque, è a tutti gli effetti “un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte”.

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