Otto anni fa volevano fare tutti i cuochi, oggi gli istituti professionali alberghieri sono in crisi. Non solo è finito l’effetto Masterchef, il talent show culinario, ma a creare una vera e propria emorragia di di iscrizioni (– 47,1%) è quella che i dirigenti di queste scuole chiamano la “licealizzazione” ovvero la tendenza a non valorizzare gli istituti professionali e la diminuzione delle ore di laboratorio per aumentare quelle teoriche. Il risultato di questo processo in atto da anni è drastico: nell’anno scolastico 2014/15 gli iscritti erano 64.296; nel 2021/2022 appena 34.015. Secondo i dati dell’Osservatorio ristorazione nel 2022/23 sono scesi persino a 25.375 alunni. Un calo che in un paese che regge la sua economia, in alcune regioni, grazie al turismo non può non essere preso in considerazione.

Lo sa bene Luigi Valentini, presidente di Renaia, la Rete nazionale istituto alberghieri che raggruppa 220 scuole: “E’ stata una bolla dovuta non solo a MasterChef ma a una politica sull’ orientamento scolastico scorretta. Sono diversi i fattori che concorrono – spiega il preside a Ilfattoquotidiano.it – a questa decrescita ma tra gli altri vi è il fatto che il settore del turismo abbraccia l’area dell’ enogastronomia e dell’ ospitalità alberghiera che offre lavoro ma senza sicurezza contrattuale. La percentuale di chi esce dalle nostre scuole e va a lavorare nel settore alberghiero è minima. Spesso i nostri studenti finiscono a fare altro nella vita, purtroppo”. Valentini punta, attraverso la Rete, ad una valorizzazione del settore a partire dalla questione salariale: “Un ragazzo che fa il cameriere rischia di restare con lo stesso stipendio per anni e al massimo diventa caposala”.

A puntare il dito contro le varie riforme che si sono succedute in quest’ultimi anni sui professionali è Francesca Cellai, preside del Buontalenti di Firenze: “Sono state tolte le ore dedicate ai laboratori tecnico pratici e per i ragazzi è diventato memo affascinante iscriversi alle nostre scuole. Si è dato più spazio alla teoria: a matematica, fisica, chimica arrivando a fare solo quattro ore di laboratorio la settimana. Pensi che prima del 1992, erano persino diciotto. C’è in atto una “licealizzazione” assurda: qualcuno pur di attrarre genitori e ragazzi ha trasformato il professionale in liceo del gusto”.

D’accordo con la collega toscana è Donatella Garello, dirigente alberghiero Giolitti Bellisario di Mondovì: “Non sono una sociologa, è difficile fare analisi. Vengo da una formazione classica ma dirigo da dieci anni il professionale alberghiero e ho visto un calo della metà dei ragazzi iscritti in dieci anni: va fatto un orientamento più precoce eliminando la tendenza a una cultura troppo liceale”. Secondo Francesca Lascialfari, dirigente dell’ alberghiero Aurelio Saffi di Firenze ha inciso anche il Covid: “In quest’ultimi anni c’è stato il timore da parte delle famiglie a far intraprendere un percorso in un settore in crisi e poi va cancellato lo sfruttamento che c’è dei ragazzi in questo settore”.

Un tema, quest’ultimo, che non nasconde nemmeno lo chef Luca Vissani, figlio del più noto Gianfranco: “Purtroppo ci sono persone nella nostra categoria che si approfittano dei giovani e questo fa male. Dobbiamo, invece, stringere, come ha fatto mio padre che è stato un allievo di un alberghiero, sempre più rapporti con le scuole per maturare una cultura legata a questo mestiere. Oggi è difficile anche far capire ad un giovane cos’è fare la gavetta, farsi un bagaglio di conoscenze, pagato regolarmente ma con un po’ di fatica, di sacrificio come abbiamo fatto tutti noi in ogni occupazione”. Secondo Vissani, l’effetto delle trasmissioni televisive con i cuochi protagonisti ha avuto il merito di creare attenzioni che non c’erano ma ora serve un lavoro in sinergia tra tutti gli attori del settore.

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