Sono oramai quattro gatti, eppure adesso litigano anche tra loro. Parlo delle associazioni ambientaliste, che anni fa avevano davvero un peso nella società civile, mentre oggi sono marginali al contesto sociopolitico e in più creano occasioni per litigare.

Il casus belli è il documento siglato da Fai, Legambiente e Wwf dal titolo “Paesaggi rinnovabili, 12 proposte per una giusta transizione energetica”. Di fatto, un’apertura a nuove localizzazioni di impianti di energia rinnovabile, con particolare riferimento ad eolico e solare. Documento che si è fatto ampiamente criticare da Italia Nostra e dal Gruppo d’Intervento Giuridico (Grig). Pro Natura e Lipu non si sono ancora espresse. Comunque, la frattura c’è. Partiamo dal presupposto che ovviamente non si può certo contrastare la transizione energetica, ci mancherebbe. Ma diverse considerazioni si debbono fare sul documento (cui si deve ritenere aderisca anche Greenpeace, che è notoriamente su posizioni simili).

Innanzitutto, come osserva Italia Nostra, occorrerebbe affermare che nessun nuovo impianto solare a terra verrà autorizzato se prima non si individuano le alternative che non comportano consumo di suolo agricolo. A mero titolo di esempio, aree degradate e capannoni industriali dismessi (11.000 solo in Veneto). Per l’eolico, non si autorizzino impianti a terra se non ne è appurata la effettiva redditività. Quanti parchi eolici sono stati realizzati solo perché incentivati e, al sud, anche con infiltrazioni mafiose? Lo affermava la stessa Legambiente, prima di editare addirittura una guida escursionistica tra le pale. Poi, ancora a monte, come osserva giustamente il Grig, occorrerebbe una pianificazione centralizzata e non in mano ai privati e dispersa sul territorio.

Oggi la produzione green assomiglia alla terribile urbanistica contrattata dei comuni. Un privato si sveglia, affitta o acquista un terreno agricolo e poi fa domanda di impiantarvi un campo solare o un parco eolico. Dovrebbe essere il contrario: lo stato fa un piano relativo all’effettiva necessità di energia e poi, appunto preferendo certe aree ad altre, detta condizioni e confeziona bandi di appalto. E comunque dovrebbe essere sempre tutelato il paesaggio, come detta l’art. 9 della Costituzione, anche se l’articolo è stato in parte innocuizzato dall’introduzione del concetto di ambiente (anche se c’è chi pensa il contrario). Invece il documento associativo demanda alla pianificazione paesaggistica regionale. E qui siamo al ridicolo: solo sei regioni hanno adottato il Ppr nonostante sia da tempo immemore un obbligo di legge. E quelle che l’hanno adottato continuano esattamente come prima a consumare terreni fertili (vedasi il Piemonte).

Ma quello che a mio modo di vedere è più stupefacente è l’assoluta mancanza nel documento di qualsiasi accenno al risparmio di energia, anche e soprattutto rivedendo il nostro stile di vita. Un documento liberista che sicuramente piacerà a Confindustria. Forse un po’ meno al sottosegretario Vittorio Sgarbi che sembra fare della tutela del paesaggio un suo cavallo di battaglia.

Concludo: qualcuno sicuramente penserà che allora sono favorevole al nucleare. Ovvio che no: vorrei solo che tutti ci rendessimo conto che così non va, che non possiamo permetterci il nostro stile di vita. Prima di mettere un nuovo pannello, o una nuova pala.

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