Ai Mondiali di Qatar 2022 ilfattoquotidiano.it tifa Marocco: le ragioni della nostra iniziativa (leggi)

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Il doppio passo che fa secco Eggen e il pallone scaricato sul secondo palo: l’icona del Marocco ai Mondiali è senza dubbio il gol di Mustapha Hadji alla Norvegia nel 1998. Non perché sia il più importante dei Leoni dell’Atlante nella storia dei mondiali: nell’iconografia non si entra per importanza, d’altronde se si chiede a un italiano di pensare ai mondiali la prima cosa che viene in mente al 99% è il rigore di Baggio a Pasadena, a prescindere da quella che sarà effettivamente la risposta alla domanda. È un gol, quello di Hadji, che dice che il Marocco c’è, in Francia, e ha grandi giocatori: un gol che porta in vantaggio una nazionale guidata da un francese, Henri Michel, segnato da uno che la nazionale francese l’aveva rifiutata, pare.

È la stella, Mustapha Hadji, della nazionale della speranza per il Marocco. Lui, capelli lunghi e discendenza berbera in forza al Deportivo La Coruna dopo aver giocato per il Nancy prima e per lo Sporting Lisbona poi. Con lui il compagno di squadra Salaehdine Bassir che col Depor di Irureta avrebbe vinto il campionato, seppur da riserva di Pauleta e Turu Flores, e poi Abdelillah Saber, terzino dello Sporting Lisbona che avrebbe avuto un futuro (non troppo brillante salvo una partita con la Juve) a Napoli e al Torino, Noureddin Naybet, colonna portante del Depor e Rachid Neqrouz, difensore del Bari e terrore degli italici attaccanti.

Una nuova generazione in un girone di ferro: Norvegia, Brasile e Scozia le rivali, con un destino, si diceva, segnato. Ma i Leoni dell’Atlante fecero capire, con la coda al vento e le scarpette rosse di Hadji che li portava in vantaggio all’esordio con la Norvegia, che avrebbero venduto cara la pelle. Solo due papere clamorose di Benzekri, portiere si vociferava con amicizie importanti, permisero alla nazionale di Flo di pareggiare due a due un incontro dominato dal Marocco. E passata in sordina la sconfitta con il Brasile di Ronaldo (con Benzekri che pure questa volta ci mette del suoi) nel secondo turno, gli uomini di Michel erano certi della qualificazione dopo aver battuto la Scozia per 3 a 0, con doppietta di Bassir e gol di Hadda. Ma la vittoria della Norvegia sul Brasile con un generoso rigore farà terminare tra le lacrime una bella avventura.

E infatti è ancora nel cuore dei marocchini quella nazionale, con Hadjii ritenuto ancora il più grande calciatore marocchino nonostante chi è venuto dopo forse, almeno a curriculum personale, ha fatto di più: si pensi a Ziyech, Benatia o Hakimi. Eppure c’è una squadra che ha fatto meglio, quella del 1986, sotto la guida di Josè Faria. Tra diversi talenti, quella del 1986 è senza dubbio, per tornare al discorso iconico, la squadra di Aziz Bouderbala. Il Marocco mancava ai mondiali dalla prima e unica partecipazione, non indimenticabile, del 1970: la stella attesa da tutti, e da Re Hassan II in particolare, era Mohamed Timoumi, che però sei mesi prima del mondiale si era rotto i legamenti, fattore che aveva spinto lo stesso sovrano a intercedere per farlo operare dal miglior chirurgo marocchino.

In un girone di ferro gli uomini di Faria riescono a fermare sullo 0 a 0 Inghilterra e Polonia, poi vincono per 3 a 1 col Portogallo grazie alla doppietta di Kahiri e al gol di Krimau qualificandosi agli ottavi. A brillare di più, però, è Aziz Bouderbala, centrocampista del Sion che per tutte e tre le partite del girone di qualificazione diventa l’incubo degli avversari: accelerazioni repentine, dribbling imprevedibili e un gran tiro lo trasformano in una delle stelle del mondiale messicano. Agli ottavi solo un gol all’86esimo di Matthaus estrometterà la squadra di Faria dai quarti di finale. Una menzione però, pur nella non memorabile esperienza, la merita anche la giocata pazzesca di Ahmed Baja nel 1994, quando sulla linea di fondo incollando il pallone in terra e mandando a vuoto un avversario per poi superarne in dribbling anche un altro servì a Cahouch l’assist per il momentaneo pareggio contro l’Arabia Saudita.

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