Come si combatte la corruzione? Con pene più alte? Lavorando sulla certezza della pena, cioè la sua applicazione tempestiva grazie a un processo veloce? Carlo Nordio non la pensa così. Anzi: per combattere la corruzione, secondo il guardasigilli, servono meno leggi. E poi bisogna incentivare la collaborazione con la giustizia. In che modo? Garantendo l’impunità a chi ha pagato, attraverso “una profonda revisione del reato di corruzione”. È questa la ricetta del ministro della Giustizia del governo di Giorgia Meloni. Una ricetta illustrata alla Farnesina durante un incontro organizzato dal ministero degli Esteri, dal titolo inequivocabile: “La diplomazia giuridica al servizio della Pace e della Sicurezza Internazionale: l’impegno dell’Italia nel contrasto alla corruzione”. Da procuratore aggiunto di Venezia, Nordio ha coordinato l’inchiesta sul Mose, che ha definito “il più grande episodio di corruzione nazionale. Le risorse sprecate o devolute alla corruzione hanno sfiorato il miliardo di euro”.

“Il potenziale corrotto sarà sempre convinto di farla franca” – All’evento della Farnesina, però, l’ex pm è intervenuto da ministro della Giustizia. E in questa veste ha spiegato che per combattere la corruzione dal suo punto di vista “inasprire le pene e creare nuovi reati non serve a nulla“. Anzi a sentire il guardasigilli “è inutile cercare di intimidire il potenziale corrotto con l’inasprimento delle pene, sarà sempre convinto di farla franca, non si tratta di intimidirlo ma di disarmarlo“. Disarmarlo da cosa? “Le armi sono le leggi. La soluzione è una delegiferazione rapida e radicale, ridurre le leggi e semplificare le procedure”, è l’opinione di Nordio. L’Italia, ha ricordato il ministro, ha una produzione normativa “dieci volte superiore alla media europea“. E per questo “non è un caso” che anche la percezione della corruzione nel nostro Paese sia “dieci volte superiore alla media europea“. Più vi sono leggi, sostiene Nordio, “più vi è confusione nella individuazione delle competenze e delle procedure. Se una persona deve bussare a 100 porte, invocando 100 leggi per ottenere un provvedimento , aumenta in modo esponenziale la possibilità che una porta resti chiusa. Sinchè qualcuno si presenterà dal cittadino che bussa e gli chiederà o gli imporrà di ungere la serratura. Di qui l’importanza di una delegificazione, dell’individuazione chiara delle competenze e della semplificazione delle procedure”. Così “il potenziale corruttore sarà disarmato. Perchè se quel provvedimento non sarà emanato in modo corretto si saprà di chi è la colpa e quali procedure sono state violate”. Ecco perché, secondo Nordio, per combattere la corruzione serve una “delegificazione rapida e radicale: ridurre le leggi, individuare bene le competenze, semplificare le procedure. Occorre che il cittadino debba bussare a una porta sola e invocare poche leggi chiare”.

“Interrompere legame corrotto corruttore” – Dunque secondo il ministro della Giustizia occorre una maxi semplificazione normativa per incidere sul tasso di corruzione. “Il reato di corruzione – ha detto ancora – si consuma nell’ombra, non lascia traccia, perchè le mazzette non si pagano con bonifico bancario, e avviene senza testimoni. Corruttore e corrotto sono entrambi punibili e entrambi hanno interesse a tacere quando vengono interrogati“. In realtà la storia giudiziaria italiana dimostra che proprio la collaborazione dei corruttori ha portato alle principali inchieste in tema di mazzette: a cominciare, ovviamente, da Tangentopoli. Il ministro, dunque, propone d’insistere su questo punto: bisogna “interrompere la cointeressenza a tacere di corrotto e corruttore e fare in modo che uno dei due collabori, altrimenti la corruzione è un reato di cui non si avrà mai la dimostrazione”. Ma in che modo? Forse con la minaccia della custodia cautelare, come in effetti avvenne ai tempi di Mani pulite? Un’obiezione avanzata a Nordio dal moderatore, cioè Bruno Vespa. Il ministro, però, ha negato: “Non deve essere la carcerazione preventiva a indurre la persona a parlare altrimenti cadremmo nella barbarie giuridica“. Ma se non bisogna ricorrere alla custodia cautelare, allora in che modo si potrebbe incentivare la collaborazione di una persona accusata di corruzione? “Per esempio facendo sì che chi ha pagato sia indotto a collaborare attraverso l’impunità o una profonda revisione del reato di corruzione“, dice il ministro. Che a questo proposito critica le scelte del passato: “Si è andati in senso contrario, introducendo il reato di concussione per induzione“. A parte le dichiarazioni, adesso bisognerà capire come intende intervenire l’esecutivo di centrodestra a livello normativo.

GIUSTIZIALISTI

di Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita 12€ Acquista
Articolo Precedente

Val d’Aosta, l’eterno ritorno dell’ex presidente Rollandin: in Regione farà la stampella del centrosinistra. In cambio diventerà assessore

next
Articolo Successivo

Meloni alle Regioni: “Autonomia differenziata non sarà pretesto per lasciare indietro parte del territorio, vogliamo colmare i divari”

next