Una mail, inviata alle 16.59 del 28 febbraio del 2020, dalla casella di posta del presidente della Regione Lombardia, in cui si chiede di non istituire la zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro (al contrario di quanto successo, cinque giorni prima, nei Comuni di Codogno e a Vo’ Euganeo, messi in quarantena) ma di mantenere le misure della settimana in corso. Tradotto: misure più blande, da zona gialla (la chiusura delle scuole, di fatto). I destinatari della proposta di Attilio Fontana sono quattro: Protezione civile, presidenza del Consiglio, ministero dell’Interno e ministero dello Sviluppo economico. L’oggetto della mail è “Urgente – proposte misure contenimento della diffusione del Coronavirus ordinanza integrazione medie e grandi strutture di vendita”. Il documento è agli atti dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Bergamo e il contenuto è stato diffuso dal quotidiano Domani.

LA SCOPERTA DEI POSITIVI – Da quei tragici mesi, precursori della pandemia che avrebbe colpito prima parte del Nord Italia e poi tutto il Paese, sembra passata un’era geologica. Per questo è utile fare un salto indietro nel tempo per ricordare – e capire – cosa stesse accadendo in quei giorni convulsi in cui, per dirla con le parole degli esponenti del Comitato tecnico-scientifico, “la curva dei contagi variava non di giorno in giorno, ma di ora in ora“: Nella notte tra il 20 e il 21 viene registrato il primo positivo di nazionalità italiana: Mattia Maestri. Da quel momento le cose cambiano in maniera repentina: i due Comuni del Padovano vengono letteralmente chiusi, mentre Dpcm e ordinanze del ministero della Salute si susseguono senza soluzione di continuità (il 23 saranno addirittura nove). Il governo inizia a rendersi conto che esiste un problema legato alle terapie intensive, tanto da chiedere a ciascuna Regione, l’1 marzo, di aumentare del 50% i posti letto a disposizione. Fermiamoci, intanto, a questa data.

LA CONFUSIONE SUL VIRUS – Nella settimana precedente succede di tutto. Tra opposizione e governo è in corso uno scontro: siccome il virus viene dalla Cina (e a Roma, allo Spallanzani, sono state curate le prime persone positive, di nazionalità cinese) Matteo Salvini chiede di “blindare porti e confini” e a Giuseppe Conte di “farsi da parte”; Giorgia Meloni, invece, vuole che il presidente del Consiglio “venga in Parlamento a riferire”. Tra le varie reazioni del mondo politico e imprenditoriale, c’è chi, per attaccare la Lega, agita lo spauracchio del razzismo “per difendere la comunità cinese”. Ma non c’è solo questo. Il 27 di febbraio, per esempio, Beppe Sala – preoccupato da possibili chiusure – rilancia il video, con tanto di hashtag, che recita “Milano non si ferma”. Il giorno stesso l’allora segretario del Pd, Nicola Zingaretti, si ritrova coi dem milanesi per un aperitivo, con giornalisti e tv al seguito, in un locale sui Navigli, per dire che “non bisogna diffondere il panico”. Il giorno successivo Confindustria Bergamo pubblica il filmato – anche qui, dal titolo eloquente – “Bergamo is running”. E siamo al 28 di febbraio, venerdì, quando Fontana scrive a Conte.

LA MANCATA ZONA ROSSA – Facciamo un salto in avanti di una settimana: venerdì 6 marzo. Gli esperti del Cts hanno già in mano i dati che arrivano dalla Bassa Valle Seriana e manifestano la loro preoccupazione. Sanno che “l’indice di contagio è certamente superiore a 1” e che ci sono 20 casi, confermati, di persone positive, rilevate tra i due Comuni, confinanti, di Alzano Lombardo e Nembro: si tratta di un focolaio. Il governo viene informato. A Verdellino e Zingonia arrivano decine di carabinieri. Intanto la Valle Seriana viene percorsa dalle camionette dell’esercito. Vengono studiate le strade da chiudere, i varchi, i checkpoint: è tutto pronto per la zona rossa. L’indomani, però, salta tutto. Il governo decide di istituire una zona arancione in tutta la Lombardia, mentre la Regione si chiama fuori. In poche settimane, solo nella Bergamasca, moriranno migliaia di persone.

LA MAIL E LE ACCUSE A FONTANA – La mail con cui Fontana chiede alla Protezione civile e all’esecutivo di mantenere le misure messe in campo in quell’ultima settimana di febbraio ha provocato le reazioni del centrosinistra. “La responsabilità di Fontana è grave, perché aveva tutti i dati che confermavano che la situazione era catastrofica e pericolosissima”, ha commentato il consigliere regionale del Pd Pietro Bussolati. “Con quella non scelta, con quella richiesta al governo di temporeggiare sulla zona rossa, con la riapertura del pronto soccorso di Alzano e con la delibera sul trasferimento dei malati Covid nelle Rsa, non ha protetto le persone fragili, non ha protetto il personale sanitario e ha permesso al virus di dilagare. Noi questo non lo possiamo dimenticare”. Per il capogruppo del M5s, Nicola Di Marco, “Fontana sapeva, ma, nonostante ciò, non ha voluto mettere in sicurezza la Lombardia. Il 26 febbraio indossava goffamente una mascherina su Facebook” e, ha aggiunto, “solo due giorni dopo” chiedeva di “non adottare le misure che avrebbero salvato la vita a migliaia di lombardi”. Fontana si è difeso dicendo che nella mail si parlava, tra le altre cose, di “virus clinicamente sotto controllo” e che “gli ospedali non erano ancora sotto pressione”.

Twitter: @albmarzocchi
Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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