La crisi di Facebook, e di Twitter in particolare, ci dovrebbe preoccupare molto o quantomeno ci dovrebbe far riflettere su diversi aspetti che vanno dal mero esercizio della nostra libertà di parola fino allo svolgimento di una sana vita democratica all’interno della nostra società.

All’apparire delle prime reti sociali (Sixdegrees, Friendfeed, Friendster, MySpace, Flickr e – un attimo dopo – Facebook e Twitter) il mondo di Internet era entusiasta e ottimista. Come Internet aveva unito i contenuti (attraverso i link), ora le reti sociali permettevano di collegare le persone in base ai loro interessi, amicizie, scuola, etc.. Quella libertà di espressione, di opinione e di comunicazione di idee e informazioni, sancite dalle nostre Carte (dalla Costituzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’uomo) finalmente avevano degli strumenti.

Se creare un sito, creare un forum, comprare un dominio, scrivere un testo lungo e articolato aveva il gap di una minima conoscenza della “tecnica”, i social media erano strumenti facili da usare, accessibili a tutti in modo gratuito: l’unico requisito era avere una connessione all’Internet. Le reti sociali erano anche delle imprese, è vero, ma nascevano tutte in quella che è ancora (con tutte le sue contraddizioni) considerata la culla della “democrazia realizzata” ovvero gli Stati Uniti D’America. Niente ci faceva pensare a una minaccia, ci sentivamo al sicuro.

Le minacce di oggi si chiamano disinformazione, fake news, uso inappropriato dei dati è vero ma c’è anche il pericolo concreto che quella libertà di parola si trasformi in controllo e repressione da parte di un potere oscuro nascosto in un fondo sovrano. Secondo la Reuters tra i 44 miliardi che sono serviti a Elon Musk per acquisire Twitter, ci sarebbero 7,1 miliardi da investitori internazionali che hanno il nome di Qatar Holding e Prince Alwaleed. Cioè arrivano soldi da Paesi non certo noti per essere il baluardo della democrazia e dei diritti.

Io sono preoccupato e anche gli esperti della Brookings Institution, un think tank Usa di orientamento liberal, sono molto preoccupati tanto da scrivere che “l’importanza di Twitter come piattaforma per il discorso politico negli Stati Uniti solleva implicazioni per la sicurezza nazionale”; Biden per ora non sembra tanto preoccupato ma speriamo che al più presto qualcuno conduca un’indagine seria e accurata.

La ricaduta sull’opinione pubblica delle reti sociali e in particolare Twitter è enorme in tutto l’Occidente democratico. In queste due settimane dall’acquisizione di Elon Musk in poi più di un milione di utenti sta cercando di abbandonare Twitter in favore di Mastodon, di lasciare “l’uccellino” per “l’elefantino”. Mastodon è la Wikipedia delle reti sociali, finanziata da forme di crowdfunding, somiglia molto a Twitter, ma non è Twitter, è usata appena da 1,6 milioni di utenti, contro i 300 milioni di utenti mensili di Twitter, non c’è tra gli iscritti a Mastodon il presidente degli Stati Uniti, non c’è il presidente del Consiglio italiano (qualcuno starà dicendo, è un bene). Ma almeno nell’imminenza non potrà sostituire Twitter né nessun altro social network, proprio perché c’è quel gap tecnico nell’uso che impedirà a una massa di persone di usarlo facilmente e in modo assiduo.

Magari con l’intervento di ingenti capitali tra qualche lustro vedremo Mastodon arrivare a una soglia di 50, 100 milioni di utilizzatori al mese, ma quel giorno è ancora lungo da arrivare e Twitter lontano da essere insidiato.

Pensate sempre al gap e alla libertà di parola: meno gap tecnico più facilità d’uso, più persone lo usano, più la piattaforma diventa davvero un agorà digitale capace di penetrare nel discorso pubblico.

Ora pensate a Twitter come a una rete sociale ancora legata soprattutto al testo e non alle immagini. Oggi Twitter mette ancora al centro la parola scritta anziché l’immagine (Tik Tok, Instagram e la stessa Facebook). Ora qui potrei fare tutta una disamina di pensatori e intellettuali che mettono in guardia dal potere “distorsivo” delle immagini ma ve le risparmio.

Se Tik Tok e Meta si fanno “televisione”, Twitter è più una radio (da qualche tempo sperimenta anche trasmissioni in audio). Ecco continuiamo a fare di Twitter mille, centomila, un milione di radio libere e conserviamo l’ottimismo nelle parole di uno dei fondatori Jack Dorsey che dice che saranno tante le tribolazioni che Twitter dovrà ancora affrontare ma che “tornerà grande”.

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