di Stefano Lacoforpio

Il 22 e 23 novembre a Parigi si terrà la riunione triennale dei ministri delegati allo Spazio dei paesi membri dell’Esa, la cosiddetta Ministeriale, preceduta il 18 da una riunione ristretta tra i paesi maggiormente contributori al bilancio dell’Ente Spaziale Europeo. Il direttore generale, Joseph Aschbacher, ha da tempo presentato un programma triennale che prevede un consistente aumento dei fondi richiesti ai paesi preparato prima dello scoppio della guerra in Ucraina, il che fa prevedere che si discuterà molto sul quantum effettivo ogni paese sarà d’accordo ad impegnare. Uno dei temi più caldi, specialmente per l’Italia è rappresentato dall’annoso problema dei lanciatori, da sempre terreno di caccia francese in regime oggettivo di monopolio per ragioni storiche legate alla politica della “force de frappe” voluta dal Generale De Gaulle, che sanciva la completa indipendenza della Francia nel settore militare e, quindi, anche nella sua possibilità di realizzare e gestire missili balistici con testate nucleari nel contesto dello scontro dei blocchi Ovest-Est.

In questo contesto la Francia ha assunto la leadership della realizzazione dei vettori della famiglia Ariane dopo l’insuccesso del primo tentativo europeo, con la creazione nel 1962 dell’Eldo (European Launcher DevelopmentOrganization), di realizzare un vettore mettendo insieme parti provenienti anche da altri paesi. Risolto il problema con la fusione nel 1973 di Eldo ed Esro (European Space Research Organization) nell’unico ente Esa, la situazione è andata migliorando rapidamente, fatto questo di cui va dato giusto riconoscimento alla capacità tecnologiche transalpine.

L’Italia in parte ha potuto approfittare della situazione avendo capacità similari rivelatesi poi anche maggiori in alcuni casi, ideando e realizzando Vega e la sua famiglia e fornendo anche i booster per i grandi vettori Ariane. La situazione però ha lati meno felici che è ora di far emergere e correggere nell’interesse legittimo del nostro paese, sino ad oggi condizionato dalla completa dipendenza di Vega dalla società francese Arianespace che ne ha l’esclusiva commerciale. Peraltro mentre Vega C è ormai felicemente operativo e si sta sviluppando il fratello maggiore Vega E, viceversa il vettore europeo Ariane 6 porta oggi un ritardo di oltre due anni in questo, rallentando di conseguenza l’accessibilità dell’Europa allo spazio.

A questo si aggiunge, classico esempio ben noto in altri campi in Europa, che ArianeGroup, joint venture franco-tedesco, detentore di Arianespace, già da un anno ha lanciato il programma Maia, un piccolo lanciatore nella linea dei vettori riutilizzabili, rifiutando la richiesta italiana di partecipare allo sviluppo: questo nonostante una richiesta formale al riguardo da parte del Governo Draghi, mostratosi già da un anno non in grado di poter controbattere scelte non favorevoli per l’Italia. Il tutto nonostante i peana di giubilo suonati all’atto dell’Accordo Italia- Francia del Quirinale che, a parole, enfatizzavano l’impegno delle parti a collaborare strettamente e in armonia anche nel settore spaziale. In questi giorni stiamo osservando continui esempi in vari settori, l’energia in primis, di paesi pronti a difendere i propri interessi senza effettivamente inquadrarli in un’ottica di insieme, europea, come nei fatti dovrebbe essere.

La posizione rigida della Francia sul tema della liberazione di Avio dalle forche caudine francesi ha precedenti altrettanto imbarazzanti. Tutti nel settore ricordano gli inizi della vita di Vega con il primo volo del 13 febbraio 2012. In quel periodo, una volta che, a vettore realizzato salvo la centrale di navigazione e controllo, si era posto il problema della trasmissione all’Italia del software necessario a controllare il razzo e che rientrava inizialmente nelle responsabilità dei working package francesi. I responsabili italiani ricevettero un netto diniego giustificato da “questioni di sicurezza nazionale”, comprensibili perché algoritmi simili erano montati sui vettori francesi di dissuasione. Il problema tecnico permaneva perché l’Italia sarebbe stata vincolata a ricevere una black-box non gestibile e sotto controllo transalpino che, di fatto, plafonava la possibilità di sviluppi italiani rendendoci del tutto succubi. Fu allora che con grande determinazione e sicurezza nelle nostre capacità, fu deciso di realizzare ex novo e tutto italiano il software che fu testato già nel terzo volo: il risultato fu un grande successo e addirittura le traiettorie si dimostrarono anche più rispondenti a quelle teoriche rispetto alle precedenti.

E’ in quest’ottica e con questa determinazione che ci si aspetta che il ministro Urso possa andare a discutere alla pari con i suoi omologhi salvaguardando i nostri leciti interessi industriali tenendo anche conto che siamo il terzo paese contributore dell’Esa, tema spesso ignorato anche a Parigi. Il suo passato e la sua esperienza sia al Mise che al Copasir fanno ben sperare; e ci si aspetta anche che certe storture ed errori ereditati dalla gestione del suo precedente collega possano essere sanate perché per farsi rispettare è necessario possedere una credibilità internazionale forte presentandosi con un’equipe tecnica di alto livello, con curricula seri e in grado di confrontarsi con i nostri competitori alla pari viste le perplessità, e non poche, che ancora permangono su alcune nomine fatte in precedenza.

Articolo Precedente

Pd, Schlein: “Aderisco al percorso costituente, non sto a guardare. No a logiche di cooptazione e al modello dell’uomo solo al comando”

next
Articolo Successivo

Regionali Lombardia, dopo Cottarelli anche Del Bono dice no al Pd. Si va verso le primarie di coalizione: ecco tutti i nomi che circolano

next