Il pretesto è stato l’obbligo imposto dal governo di Pristina sulla reimmatricolazione delle auto con targa serba, che va sostituita con quella kosovara con la sigla RKS (Repubblica del Kosovo). Un provvedimento a tappe, il cui termine ultimo per mettersi in regola è stato fissato al 21 aprile 2023, ma che già dalla fine di novembre prevede multe da 150 euro per chi non lo abbia ancora fatto. Tuttavia, a riversare oltre 10mila persone nel fine settimana per le strade di Kosovska Mitrovica, fra slogan nazionalisti in uno sventolio di bandiere serbe, non è stato soltanto il ritiro del provvedimento. Nella città del nord del Kosovo si sono manifestate apertamente le tensioni che negli ultimi tempi si sono riaccese tra Serbia e Pristina, con il personale serbo in servizio che ha deciso di dimettersi da tutte le istituzioni politiche, giudiziarie e di polizia del Kosovo, formalizzando oggi le dimissioni il ritiro dei propri rappresentanti.

La preoccupazione dell’Europa – I Balcani, area di cronica e pericolosa instabilità nel cuore dell’Europa, tornano così alla ribalta per il riemergere delle tensioni interetniche in Kosovo, dove maggioranza albanese musulmana e minoranza serba ortodossa, quest’ultima legata a Belgrado, fanno sempre più fatica a convivere. Nuove tensioni, queste, che provocano grande apprensione nelle cancellerie europee, nel timore di nuovi focolai e possibili scontri sullo sfondo del non lontano conflitto russo-ucraino. Per cercare di placare gli animi con appelli al dialogo e alla moderazione sono intervenuti l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell e il ministro degli Esteri Antonio Tajani: entrambi hanno contattato il presidente serbo Aleksandar Vucic e il premier kosovaro Albin Kurti. “Ora la priorità è calmare la situazione sul terreno perché potrebbero esserci conseguenze per tutta la regione: chiediamo a Belgrado e Pristina di essere responsabili e di non mettere a rischio anni di lavoro”, ha detto un portavoce della Commissione Ue. “Il Kosovo deve creare le comunità di associazione, è un suo obbligo legale”, ha continuato. “L’alto rappresentante per la politica estera Ue Josep Borell ha parlato sia con il presidente Vucic che con il premier Kurti: l’Ue sta provando a spingere Serbia e Kosovo a trovare una soluzione europea e calmare la situazione sul terreno”.

Le accuse di discriminazione e il mancato riconoscimento del Kosovo – Da tempo i serbi del Kosovo, unitamente alla dirigenza di Belgrado, accusano le autorità di Pristina, e in particolare il premier Albin Kurti – politico radicale e su posizioni fortemente antiserbe -, di discriminazione nei loro confronti e di non rispettare gli accordi già conclusi nell’ambito del dialogo facilitato dalla Ue, a cominciare da quello del 2013 che prevede la creazione di una Comunità delle municipalità serbe in Kosovo. Un organismo questo di cui Pristina non vuol sentir parlare ritenendolo contrario alla Costituzione (che vieta le entità monoetniche nel Paese) e una riedizione della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina, il cui leader Milorad Dodik è nel mirino della comunità internazionale per le sue crescenti aspirazioni secessionistiche.

Il mancato riconoscimento da parte della Serbia dell’indipendenza proclamata nel febbraio 2008 dal Kosovo, considerato ancora una provincia meridionale e parte integrante del territorio serbo, rende inevitabile la collisione di posizioni e interessi, con la popolazione serba locale, appoggiata da Belgrado, che contesta le misure di Pristina intese a ribadire la sua piena sovranità statale. Ad accendere nuovamente le polveri della protesta, appunto, l’obbligo imposto da Pristina sulla reimmatricolazione delle auto con targa serba. Un provvedimento che è stato semplicemente il pretesto per portare alla luce tensioni ben più profonde.

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