L’assenza dello Stato lo ha trasformato in un combattente a tempo pieno per la difesa dei diritti delle persone con disabilità. Così Lorenzo Torto, 34enne di Rapina (Chieti) che una tetraparesi spastica agli arti inferiori costringe da sempre alla sedia a rotelle, denuncia da anni ogni barriera che incontra. Quelle che ha trovato nel centro per l’impiego di Ortona, dove l’accesso è di fatto vietato a persone come lui, sono particolarmente odiose. Perché il servizio è in capo alla Regione Abruzzo, ma i locali che lo ospitano sono gestiti dal Comune e così è colpa di tutti e di nessuno, tanto che a un’interrogazione promossa da Torto in consiglio regionale nessuno si è degnato di rispondere. Ma soprattutto perché le barriere architettoniche del centro si sommano a quelle normative e culturali dell’Italia, dove la legge per l’inserimento lavorativo delle persone diversamente abili funziona poco e male e nonostante prescrizioni e condanne da parte dell’Europa, spiega Torto, “molti datori continuano a pubblicare annunci per mansioni impraticabili della maggior parte dei disabili e a evitare così di doverli assumere”. Dinamiche che negano un diritto riconosciuto dalla Costituzione e che si traducono in una perdita economica per il Paese. E che i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinati alle politiche attive rimettono al centro.

Ostacoli all’ingresso della struttura, bagni inagibili e la pedana che dovrebbe permettere l’accesso ai locali è fuori norma e bloccata da un cartello con su scritto “divieto di accesso“. Sono le condizioni in cui versa il Cpi di Ortona da oltre un decennio, rimaste tali anche dopo il passaggio del servizio dalle province alle regioni perché i locali, dice la legge, sono di competenza dei comuni. Quello di Ortona paga l’affitto a un privato, ma dice di essersi accorto delle problematiche solo grazie alla denuncia di Lorenzo Torto, iscritto agli elenchi degli appartenenti alle categorie protette solo per scoprire che nel centro per l’impiego della sua zona non può nemmeno entrarci. Perché all’esterno c’è una griglia malconcia con buchi di oltre 2 centimetri, pericolosi per chi si muove sulle ruote di una carrozzina. Perché la rampa di accesso ha una pendenza del 35 per cento mentre la norma prevede una pendenza massima dell’8 per cento e allora ecco il cartello che ne vieta l’utilizzo. Perché davanti ai servizi igienici c’è un gradino invalicabile e sprovvisto della necessaria rampa. “Lo Stato non può costringere il disabile a vergognarsi, a sentirsi a disagio, sennò viene meno il principio stesso della sua esistenza”, ragiona Torto. E domanda: “Quando non ci saranno più i miei genitori uno come me dove va a finire? Senza un lavoro e senza servizi accessibili diventiamo invisibili”.

Il risultato? “Gli operatori del centro fanno la spola tra l’utente e il computer”, racconta Nicola Renzetti, responsabile del Cpi di Ortona. Che ricorda le tante pressioni nei confronti degli enti locali: “Ma ancora non è successo nulla e i problemi rimangono”. Lo scorso giugno un’interrogazione regionale del M5s promossa da Torto è rimasta senza risposta. A luglio la Regione ha però incontrato i 20 comuni del comprensorio servito dal Cpi e si è detta disponibile a finanziare i lavori. “Abbiamo fondi governativi e li mettiamo a disposizione”, ha detto a ilfattoquotidiano.it l’assessore regionale alle Politiche sociali Pietro Quaresimale. Ma secondo i tecnici del Comune le problematiche “non si possono risolvere nell’attuale sede del centro”. “Il 25 agosto scorso abbiamo inviato alla Regione il progetto di recupero di un altro immobile del Comune e allegato lo studio di fattibilità: attendiamo risposta”, ha spiegato l’ufficio del sindaco Leo Castiglione, che di recente ha iniziato il suo secondo mandato. Accorgersene prima? “Noi l’abbiamo saputo dall’utente“. Cioè da Lorenzo Torto, che al centro per l’impiego dovrebbe trovare lavoro e invece ha trovato l’ennesima battaglia da combattere.

Perché quelle architettoniche non sono purtroppo le uniche barriere che impediscono alle persone con disabilità di accedere al mercato del lavoro. “Sono iscritto alle legge 68 del ’99, ma le offerte di lavoro sono poche e spesso vergognose, soprattutto se sei in sedia a rotelle”, denuncia. E spiega: “Nonostante una direttiva europea abbia imposto che le offerte debbano rappresentare “soluzioni ragionevoli“, si continuano a proporre offerte da gruista, ascensorista, elettricista o saldatore, tutti lavori con mansioni impensabili per un disabile”. E infatti nel 2013 l’Italia è stata condannata per il mancato recepimento della direttiva. “Ma le cose non sono cambiate”, rilancia Torto. E il direttore del Cpi di Ortona conferma. “Troppe aziende non ottemperano agli obblighi previsti dalla legge, che sopra i 15 dipendenti impone l’assunzione di portatori di handicap”, spiega Renzetti. Il problema? Sanzioni risibili e una normativa con troppe vie di fuga. “Così molte ditte preferiscono chiederci qualifiche che non esistono: vogliono assumere l’astronauta con la legge 68“.

Ma anche quando alla fine si riesce a obbligarle ad assumere, “possono fare contratti brevi, come un part-time di 20 ore per sei mesi e via”. O peggio: “Mi è capitata un’azienda la cui sede non è raggiunta dai mezzi pubblici – racconta Renzetti – Hanno detto che ci pensavano loro e così hanno fatto per i primi due giorni. Salvo poi avanzare scuse tanto che il disabile, rimasto a piedi, ha dovuto rinunciare”. Rinunce che sono poi una perdita per l’intero Paese. L’Ocse stima che l’esclusione delle persone con disabilità dal mercato del lavoro comporti una perdita di Pil compresa tra il 3 ed il 7%. E l’Italia è parecchio indietro, a cominciare dalla scuola dove solo un edificio su tre è accessibile dagli alunni con disabilità motoria. Quanto al lavoro, la relazione della Corte dei conti sul funzionamento del Fondo per il diritto al lavoro delle persone con disabilità tra il 2016 e il 2021 denuncia “criticità che inficiano il funzionamento del Fondo ed il conseguimento degli obiettivi dallo stesso perseguiti, che riguardano la tutela di un diritto costituzionalmente garantito”. In audizione presso l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, l’Istat ha denunciato le conseguenze: “Il 53,7% delle famiglie nelle quali vive almeno una persona con disabilità non è in grado di affrontare una spesa imprevista di 800 euro; più di un quinto non può riscaldare sufficientemente l’abitazione o consumare un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni”, tra l’altro.

Anche nell’ambizioso Piano nazionale di ripresa e resilienza, che vede gli stessi Cpi italiani impegnati nella corsa ai fondi destinati alle politiche attive, “l’inclusione delle persone con disabilità era stata trattata solamente nelle missioni 5 e 6, quindi di fatto in modo residuale”, ha ricordato la sociologa Chiara Saraceno. Una mancanza alla quale è dedicata una recente direttiva del ministero per la Disabilità del governo Draghi, indirizzata “alle amministrazioni titolari di progetti, riforme e misure in materia”, che chiede a tutti gli interventi inseriti nel Pnrr di rispettare i criteri “per l’inclusività delle persone con disabilità: accessibilità, design for all, promozione della vita indipendente e sostegno alla autodeterminazione, principio di non discriminazione”. Visto che il potenziamento delle politiche attive è obiettivo finanziato dal Pnrr a partire dagli standard qualitativi dei centri per l’impiego, l’abbattimento delle barriere e l’effettività di un servizio mirato per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità non può essere un optional. Come ricorda la Saraceno, “molti bandi nei vari settori sono già stati fatti e chiusi senza riferimento a quei criteri. Occorrerà quindi richiedere esplicitamente che i progetti già approvati vengano rimodulati per includerli. E monitorare da vicino non solo che ciò avvenga, ma soprattutto che venga effettivamente realizzato”.

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