di Monica Valendino

La Moscova continua a scorrere placida come la vita di Mosca, apparentemente distante da quanto sta accadendo a poche centinaia di chilometri più a ovest. I moscoviti per ora si sono abituati alle novità date dalla mancanza di prodotti occidentali sugli scaffali dei negozi. Ma il Natale è già all’orizzonte e nella capitale non sembra mancare nulla: dai prodotti made in Russia, agi addobbi che già vengono appesi. Tutto molto irreale, come del resto nell’Europa dove il pericolo di una guerra mondiale e, forse, nucleare viene percepita da pochi. Gli altri si adagiano, al massimo le proteste sono per il caro vita che per ora ha colpito per lo più i più poveri, quelli che non hanno nemmeno voce per protestare.

Per cui il tifo da stadio sulla questione Ucraina continua, come le frasi fatte tipo “c’è un aggressore e un aggredito” oppure “dobbiamo difendere le nostre democrazie”. Tutte cose senza molto senso e senza nemmeno basi storiche. Andando avanti così l’escalation costoro la troveranno dinanzi agli occhi solo quando davvero ci sarà poco da fare se non pregare o rassegnarsi.

Sempre chi si riempie la bocca di slogan dimentica alcuni aspetti fondamentali. Il primo, strettamente semantico ed etimologico, è che il termine “pace” deriva dal sanscrito “pak” che significava patto, quindi trattativa. Il secondo è che la sacralità dei confini è pura propaganda, visto che ogni confine altro non è che una convenzione nata anche qui da una inevitabile trattativa. Terzo, forse la cosa più importante, è che Mosca è la Russia, ma la Russia oggi non appare placida come la capitale, anzi sotto la barca arde. Chi critica Putin non conosce evidentemente la storia del Paese, complesso ed eterogeneo sia a livello geografico sia politico. “Solo con la forza si governa, l’opinione pubblica è un lusso che non possiamo permetterci” si dice all’ombra del Cremlino, cioè la fortezza, L’alternativa a Putin dopo il quasi collasso generale dovuto all’era di Eltsin poteva chiamarsi Zirinovsky, mentre oggi potrebbe chiamarsi Kodyrov. O qualcuno pensa che Navalny (che piace solo ai ventenni) possa davvero prendere le redini in pompa magna?

Per cui non cercare il dialogo, ma continuare ad armare l’Ucraina sperando di far arrendere la Russia non solo è complicato, ma anche folle. Se cade Mosca cade la Russia con le mille etnie che reclamerebbero autonomie. Il tutto con circa 6.500 testate nucleari, che a differenza del 1991, non si sa bene dove finirebbero sempre che non finiscano subito sulle nostre teste.

Trattare non è resa, è buon senso. E’ capire l’avversario e anche tornare a fare autocritica, perché dietro al conflitto è innegabile che ci siano stati errori (od orrori) targati Ue, Nato e la stessa Ucraina, che dal trattato di Budapest ha pensato che indipendenza significasse non dover più nulla a Mosca, mentre dal 2014 in poi ha creduto che le autonomie fossero da gestire solo con la forza e con leggi repressive (vedi divieto di usare il russo).

Ammettere quindi le proprie responsabilità senza per questo giustificare un’invasione sono un punto di partenza. L’arrivo rimane oramai incerto in ogni caso, ma arrivare al baratro senza nemmeno aver tentato di intavolare una nuova Yalta (inutile girarci attorno, attori e obiettivi riportano qui) rischia di diventare un crimine verso le proprie popolazioni. A Mosca come a Parigi o Roma si vive ancora inconsapevoli, fermi nelle proprie convinzioni. Intanto chi tira le fila non sembra preoccuparsi molto del proprio futuro.

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