di Luana Morgilli*

Stanno rimbalzando sui social le dichiarazioni di Ronaldo sul tema della salute mentale. In occasione della presentazione del docufilm sulla sua vita, il fenomeno ha infatti parlato della sua esperienza di psicoterapia. Il bisogno di un supporto, sfociato in un intervento prettamente clinico, sembrerebbe essere maturato inizialmente nell’ambito della carriera sportiva, investendo poi l’intera persona, fino a toccare le sfere della vita privata e relazionale.

Ancora troppo spesso, purtroppo, ci troviamo di fronte a situazioni di disagio che prendono il via nell’ambito dell’attività sportiva e che, se non prevenute, rischiano di evolvere verso la psicopatologia, fino a richiedere un trattamento psicologico clinico o psicoterapeutico, qualcosa di molto lontano dal discorso di ottimizzazione della performance che è storicamente uno dei temi centrali della psicologia dello sport. Non di rado ex sportivi professionisti si trovano a fare i conti con problematiche quali disturbi dell’umore, disturbi alimentari, tossicodipendenze e, più in generale, vissuti e comportamenti legati ai repentini cambiamenti di stile di vita o alla necessità di riorganizzarsi al termine della carriera che arriva in un momento del ciclo di vita nettamente precoce rispetto a quello della popolazione media.

Ronaldo ha spiegato: “Ai miei tempi non c’era alcuna preoccupazione per la salute mentale dei giocatori, mentre oggi sono molto più preparati (…). Si sa da molto tempo come il calcio possa essere una fonte di grande stress e avere un peso enorme nell’esistenza di un calciatore”.

È importante fare una riflessione rispetto a come la stessa psicologia dello sport si sia evoluta, ponendo sempre maggiore attenzione anche alla prevenzione di malesseri di tipo mentale che possano tra le altre cose condurre a fenomeni quali l’abbandono precoce di giovani talenti. La presenza sempre maggiore di psicologi dello sport e la diffusione di questo tipo di intervento permette un lavoro parallelo sia su aspetti legati alla prestazione ottimale, sia rispetto allo sviluppo di competenze emotive e soft skills sempre più importanti in ogni ambito della vita, sia personale che professionale. Lavorare su questi aspetti permette, infatti, di accrescere il benessere e l’adattamento funzionale, non solo dell’atleta che vediamo in campo ma anche della persona a 360 gradi.

Sempre più psicologi dello sport operano all’interno dei settori giovanili, così da supportare gli atleti e le atlete, fin da giovanissimi, nella gestione delle emozioni, delle relazioni con allenatori e compagni di squadra, delle gare e delle competizioni; ma anche di tutti quegli aspetti che sono collaterali all’attività sportiva di alto livello, tra cui la capacità di partecipare in maniera adeguata e sostenibile alle conferenze stampa, alla gestione dei commenti (spesso poco lusinghieri, quando non proprio offensivi) sui social, e ad altre situazioni pubbliche a cui queste persone sono esposte, come testimoniato nei recenti episodi di cui sono state protagoniste la tennista Naomi Osaka e la nostra pallavolista Paola Egonu.

L’auspicio è quello di vedere implementati in misura sempre maggiore i progetti legati alla psicologia dello sport, sia al fine di influire positivamente sulla qualità della prestazione, che in un’ottica di prevenzione e promozione del benessere – e, qualora necessario, anche di intervento sul disagio. In quest’ottica, l’Ordine degli Psicologi del Lazio ha anche realizzato un eBook che raccoglie 30 esperienze pratiche in ambito sportivo, utili a comprendere meglio il valore e l’utilità di questa figura. Il volume è disponibile gratuitamente a questo link.

*Psicologa psicoterapeuta – Consigliera e Coordinatrice GdL Psicologia dello Sport e dell’Esercizio Fisico Ordine degli Psicologi del Lazio

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