“Non si è mai troppo piccoli per fare la differenza” nella battaglia climatica. Alice Franchi ha 21 anni e da quattro fa parte del movimento Fridays for Future a Pistoia. Sin dai primi mesi ha capito però che scendere in piazza non bastava: per sensibilizzare i ragazzi sulla crisi climatica, è necessario rispondere alle loro domande sin da quando sono piccoli. Da questa idea nasce, nel 2020, School for Future, un progetto di formazione nelle classi portato avanti in diverse città italiane: da Roma, a Milano, a Bologna. Per il suo lavoro Franchi è stata selezionata, insieme a un solo altro italiano, per partecipare al Climate Action Summit 2022 a Lecco. Un’iniziativa, organizzata da ChangemakerXchange, in collaborazione con Cariplo che raccoglie una community internazionale di giovani innovatori sociali (tra i 18 e i 35 anni) da 130 Paesi di tutto il mondo, con l’ambizione di tutelare il clima.

Come ti sei avvicinata a Fridays for future?
Io ho iniziato a fare parte di Fridays for Future con il primo sciopero nel 2019. Non ero tra gli organizzatori, ma ho partecipato a Firenze e lì ho conosciuto gli amici e i compagni con cui ho fondato il gruppo a Pistoia. Per un anno a livello locale abbiamo cercato di fare peer education (educazione fra pari) tra di noi. Era un modo di cercare di farci domande e capire la complessità di un problema, la crisi climatica, affrontato spesso con leggerezza.

E l’idea di un progetto nelle scuole invece come nasce?
Fridays è un movimento orizzontale. School for future non ha avuto inizio da una persona in particolare. Io sono stata una delle prime ad andare nelle classi però. Nel 2020, quando come Fridays Pistoia ci siamo avvicinati al nazionale e ad altri gruppi locali con altre storie, abbiamo sentito l’esigenza di continuare a fare gli scioperi, che sono quello che ci rappresenta, ma anche di coltivare un altro aspetto, un’altra faccia medaglia spesso non percepita all’esterno: quella della sensibilizzazione e dell’educazione. Quindi abbiamo scelto di raccontare la crisi climatica e il nostro movimento agli studenti con School for future.

Come mai?
Vedevamo dai ragazzi e dai nostri coetanei un’esigenza di comprendere, avevano sacco di domande e avevano bisogno risposte. Gli insegnanti spesso non sapevano come affrontare il tema della crisi climatica. Quando abbiamo iniziato, sembrava una novità. Quindi abbiamo portato i progetti di peer education che facevamo tra noi, alle assemblee, nelle scuole. Non con delle lezioni frontali, ma con chiacchierate e laboratori nei quali gli attivisti potevano confrontarsi con gli studenti e affrontare insieme le novità su questo tema.

Come vi siete presentati nelle scuole?
Molto spesso sono arrivate richieste direttamente dai territori ai gruppi locali, dopo che abbiamo dato la nostra disponibilità. Solo una volta, il giorno prima della Cop 26 abbiamo pubblicato un post su Instagram e, nonostante mancasse poco tempo, abbiamo ricevuto un sacco di adesioni.

In che classi parlate di solito?
Con Fridays Pistoia abbiamo fatto progetti anche alle scuole elementari, con laboratori attivi, anche manuali, per dialogare attraverso parole vicine e comprensibili ai bambini. Poi anche progetti più lunghi con ragazzi delle medie nei laboratori pomeridiani e con i nostri coetanei delle superiori, che dialogano in maniere diverse.

Alle elementari interessava la crisi climatica?
La prima volta siamo stati invitati dai maestri. Era una quarta elementare. In un primo momento abbiamo fatto una piccola introduzione alla crisi climatica, raccontandola come una fiaba. Abbiamo scritto e disegnato sulla lavagna, spiegando le differenze tra concetti come meteo e clima. Poi però è nato un dibattito, hanno iniziato ad alzare le mani. Mi sono subito resa conto che i ragazzi erano molto più preparati di quello che pensavo, c’era molto interesse e tantissime domande. Un bambino in particolare già dall’inizio riusciva a fare un collegamento tra il consumo di carne e la deforestazione. Sono rimasta molto stupita.

E questo nonostante avessero nove anni
Partiamo dal fatto che magari questi ragazzi non hanno affrontato il tema della crisi climatica, ma molto spesso sono anche più preparati delle persone grandi. Nella seconda parte del laboratorio abbiamo creato delle cartoline. Da un lato abbiamo disegnato qualcosa che rappresentasse la discussione su come il paesaggio cambiava e sugli effetti sociali e ambientali della crisi climatica. Molto spesso i bambini disegnavano un mondo grandissimo che piangeva, oppure la loro famiglia e accanto mettevano il fuoco.

Sull’altro lato?
Abbiamo scritto una frase o richiesta e abbiamo messo l’indirizzo del ministero della Transizione Ecologica. I maestri si sono impegnati a mandarle tutte a Cingolani. Così che non restasse solo una chiacchierata, ma che anche la loro voce potesse contare. Tanti infatti mi avevano detto di avere paura di essere troppo piccoli per farea differenza. Quindi abbiamo cercato un modo per farli diventare parte del cambiamento, anche se sembrava distante da loro.

Con i ragazzi più grandi invece? Qualcuno era disattento?
In realtà anche lì erano tutti molto interessati. Erano 25 o 30. Abbiamo fatto un progetto lungo, di vari incontri. Siamo partiti da una carta geografica e abbiamo fatto un brain storming su tutti gli eventi successi nei vari territori. Così abbiamo iniziato a riflettere sullo scioglimento dei ghiacciai, sugli incendi, sugli eventi atmosferici estremo. Il dibattito è stato molto interessante e partecipato. Percepivo davvero tanto l’interesse dei ragazzi. Poi abbiamo fatto scegliere a loro i temi da approfondire nelle settimane successive.

Cosa li preoccupava?
La deforestazione, l’inquinamento, l’uso della plastica, la carne e qualcuno ha proposto di parlare anche di moda e fast fashion.

Poi li avete rivisti?
Nonostante fossero molto giovani, qualcuno è venuto anche a partecipare a una riunione o a uno sciopero. Pistoia è piccolina ed è facile che, rispetto a una grande città, si siano sentiti più accolti. Loro hanno fondato anche una radio di classe, ideata insieme a un loro professore, e ogni tanto ci invitano a fare una chiacchierata. Raccontiamo le iniziative o parliamo di attualità.

E al liceo?
Spesso usiamo uno stile di comunicazione con riferimenti pop e a serie tv, per richiamare e non allontanare i giovani. Utilizziamo Harry Potter con meme sulla crisi climatica o la Casa di carta per parlare di IPCC (Intergovernamental panel on climate change). Abbiamo fatto vari eventi. Quando non c’era il Covid ci chiamavano in presenza per le assemblee d’istituto. Durante il lockdown ci siamo dovuti riadattare. Poi abbiamo fatto un super mega evento con Rossana Ercolini – giornalista e ambientalista, vincitrice del Goldman enviromental prize nel 2013 – e ci sono state mille richieste di partecipazione dagli studenti di Pistoia e provincia. L’evento è venuto benissimo, tantissimi ci hanno scritto o sono venuti alle successive riunioni di Fridays, incuriositi dalla chiacchierata.

E i loro genitori?
C’è sempre qualcuno che non la prende bene, anche tra gli insegnanti. Magari non vuole che si salti scuola e sottovaluta i temi Della crisi climatica. Ma sul territorio pistoiese gli eventi sono sempre stati efficaci.

Come ti prepari per questi eventi?
Io studio economia dello sviluppo sostenibile e cooperazione internazionale, quindi anche all’università ho l’opportunità di approfondire le tematiche che riguardano il clima. Poi ci sono tante formazioni interne al gruppo, tra pari e organizziamo i materiali a livello nazionale. Io poi leggo un sacco di libri, mi aiuta a capire come comunicare la crisi climatica. Anche le modalità in cui raccontiamo o le parole che usiamo sono fondamentali. Sono parte della transizione e della costruzione del mondo che vorremo. Andare nelle scuole mi ha fatto crescere e capire cos’è che sbagliavo, anche ai feedback.

Per esempio?
Magari inizialmente avevo uno stile di comunicazione molto pessimista. Le persone che ci ascoltavamo potevano avere una reazione di blocco. Se penso che la situazione sia catastrofica, io che cosa posso fare da sola? Mi paralizzo e non agisco. Se invece mi dicono la verità, anche se è catastrofica, ma mi mettono un obiettivo visibile, riesco a capire di poter fare qualcosa. Così la comunicazione è più efficace. Anche il meeting internazionale di ChangemakerXchange mi ha aiutato a migliorare.

In che modo?
Eravamo una ventina di ragazzi, tra attivisti, imprenditori a livello sociale e influencer. C’era una grande varietà. Abbiamo parlato dei nostri progetti e di come portare la scienza nelle istituzioni a Lecco, per una settimana. Anche lì è stato un percorso di peer education. Abbiamo tutti fatto un percorso partendo dalla consapevolezza che la battaglia climatica e ambientale è anche questione benessere per noi e per la società. Ci siamo confrontati sul nostro ruolo di facilitazione e moderazione, sugli strumenti di organizzazione interna. Mi porterò dietro tutto questo quando ritornerò a lavorare a livello locale.

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